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La Pieride di Guido Gozzano

Guido Gozzano teneva molto al suo poemetto Le Farfalle, che cominciò a scrivere probabilmente già nel 1909, ma che alla sua morte, avvenuta nel 1916, era ancora incompiuto e solo in qualche parte pubblicato su riviste. A quei versi Gozzano aveva affidato le sue conoscenze in entomologia, ma anche un modo nuovo di considerare la poesia e di comporla. Ne parlo nell’introduzione al volume delle Farfalle, che ho curato per i tipi di Interno Libri.

Qui riporto l’ultima parte della sezione dedicata alla Pieris Brassicae, la Pieride, anche conosciuta come Cavolaia, un tempo (quando le farfalle ancora liberamente circolavano) molto comune nelle nostre zone, anche in ambiente cittadino.

Al termine un link con la mia lettura dei versi.

Da ore ed ore, forse dal mattino,
s’aggira stanca per le vie diritte
dove non cresce un filo d’erba o un fiore.
Come si specchia nei diciottomila
occhi stupiti il turbinio dell’uomo?
Forse a quei sensi minimi, la folla,
le case, i carri, quei corpi grandi
sono come la frana, il fuoco, l’acqua,
fenomeni malvagi da fuggirsi.
Fugge. L’attira un cespo semovente
di fiori finti, un cencio verde, azzurro,
si libra sulla folla, sull’intrico
metallico, tra il rombo e le faville,
e va senza riposo, un carro passa
e la travolge nella scia ventosa…
Con volo ravvivato dal terrore
cerca uno scampo in alto, sale obliqua
contro le case, attinge i tetti, il sole;
si ristora ad un cespo di geranii,
fugge lasciando un lembo d’ala a un mostro
tentacolare e candido: una mano;
vola sopra il deserto delle tegole
né più discende nelle vie profonde,
va tra la selva di colmigni spessi,
da tetto a tetto, va senza riposo.
Ed ecco aprirsi sotto la randagia
l’abisso verde di un giardino; scende
scende verso il colore che l’attira.
Il giardino è degli uomini: ingannevole.
Vi trova l’erba tenera, le fronde,
i fiori, una brigata di sorelle
sbandite, riparate in quell’oàsi.
Ma l’erba cittadina non ha steli;
gli alberi, mostri ignoti d’oltremare,
non hanno nella fronda coriacea
un fiore. E l’uomo meditò nel fiore
l’ultima frode: suggellò il nettario,
con arte maga trasmutò gli stami
in multiple sorelle mostrüose.
Le Pieridi s’aggirano sui fiori
tentano le azalee ed i giacinti,
ma le corolle suggellate al bacio
son come belle donne senza bocca.
Poche Pieridi trovano la via
dei campi. Grande parte è prigioniera
del chiuso laberinto cittadino;
e nel triste detrito che raccoglie
la scopa mattinale delle vie
biancheggiano falangi d’ali morte…

 

da Le farfalle. Epistole entomologiche, a cura di Giuseppe Grattacaso (Interno Libri)

 

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