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Elisa Díaz Castelo, tra Newton e la poesia

Elisa Díaz Castelo, Principia, Ensemble

In una delle prime poesie della raccolta Principia della giovane e già affermata poeta messicana Elisa Díaz Castelo (Ensemble, € 15), l’autrice definisce indirettamente, sarebbe da dire “in controluce”, il proprio mondo poetico e offre un saggio del linguaggio che serve a manifestarlo. La poesia ha titolo Radiografie ed è inclusa nella sezione Sul sistema del mondo. Il mondo esterno, anche quello tanto lontano da essere sostanzialmente sfuggente, e quello vicino o addirittura interiore in qualche modo anch’esso indefinibile, quando si tratta di un interno di carattere spirituale o fisicamente animato da forme e presenze minutissime , dialogano, si sovrappongono e si combinano attraverso le immagini che li compongono e le parole che sono utili a definirli. Sono parole precise e specifiche, prese in prestito in questa poesia come in altre dalle conoscenze scientifiche, anch’esse richiamate con puntuale rigore, di cui la poesia di Díaz Castelo si nutre: termini, lemmi e espressioni capaci comunque di produrre forme inusuali, relazioni immaginifiche e straordinarie, connessioni che fanno parte la poeta ne sembra sicura, e noi con lei dell’ordinarietà delle nostre esistenze quotidiane: “Così esposto, il corpo boreale / dispiega le sue stelle umide. / È un albero di ossa, / uno sciame di organi, una foglia / in controluce, brandelli di muscolo / e un nome / che si scheggia: scapola, / braccio, vescicola, astragalo”. Le radiografie, frutto dell’occhio dello strumento meccanico, dello sguardo che penetra all’interno, “dove il corpo recondito / dà fede dei suoi volumi inversi: / gli organi sono colombe / riparate nella copula dell’osso” (va detto che la prima poesia del volume è Scoliosi), danno evidenza, nel loro bianco e nero evocativo, all’estrema precisione e all’assoluta indeterminatezza di ogni cosa, che è sempre se stessa e anche qualcos’altro, ha sempre a disposizione il negativo di sé, che è scoperta ma anche presenza stravagante e in qualche modo intimamente coerente.

Elisa Díaz Castelo

Il “sistema del mondo” è in fondo già tutto implicito nel corpo di ognuno di noi, è un meccanismo di assurde relazioni e di assurde rivelazioni. Assurde, ma non per questo meno vere e dimostrate. Così nella poesia Credo, lungo elenco salmodiante, a tratti solenne, spesso ironico o meravigliato, di evidenze scientifiche e di evidenti inconcludenze che il mondo ci riserva, futili e stupefacenti, forse segreti che potremo un giorno scoprire, forse solo immotivate dimostrazioni del nulla, Díaz Castelo enumera i caratteri della sua personale (poetica) devozione: “Credo in ciò che non posso / immaginare né comprendo. Nella distanza / tra la Terra e il Sole o nell’età dell’universo. / Credo in ciò che non posso vedere: / credo negli ex fidanzati, / nei microbi e nelle microonde. // Credo nelle stelle perché continuano a raggrupparsi / anche se sono morte. / Credo nella sorte onnipotente, nelle cose / che accadono senza alcun motivo, così come viene”.

La lingua utilizzata da Díaz Castelo è piana e accogliente, ma riserva al lettore improvvisi scalini logici e sintattici, sterzate impreviste che servono appunto a metterci di fronte alle inaspettate infondatezze e cedevolezze del mondo, alle impensate e familiari espressioni delle cose. La traduzione di Elisa Niccolai anche autrice della acuta introduzione che offre informazioni sul mondo letterario di Díaz Castelo segue con attenzione e rispetto il movimento ritmico e altalenante dell’originale, a volte una prosodia dai toni armonici, a volte un periodare interrotto e irregolare.

Nelle pagine introduttive leggiamo che il titolo della raccolta “contiene un esplicito riferimento ai Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1867) di Isaac Newton”, così come i titoli delle sezioni (la seconda è Sul movimento dei corpi) rimandano anche in questo caso direttamente all’opera dello scienziato inglese. “I temi newtoniani scrive Niccolai risuonano infatti con vigore in questa raccolta: matematica, fisica, filosofia naturale, teologia, biologia e soprattutto astronomia sono le discipline che fluiscono e dialogano tra loro in un equilibrato alternarsi”.

Nel momento in cui la poesia cerca di rappresentare il mondo nei termini esatti della scienza, ne scopre il fascino e la vacuità. Le cose sono piene e vuote nello stesso istante, il tempo è un continuo presente abitato dal passato (“Perché guardare molto lontano è anche guardare verso il passato” è detto in Primogenita, dove si fa riferimento a Tanya, la galassia “primogenita” dell’universo), lo spazio qualcosa che in fondo sfugge a ogni definizione appena ci si allontana dalle certezze dell’immediato e della geometria euclidea (“Che pienezza quella dei punti, la loro allegria / di esistere appena. La linea con la sua rettitudine invidiabile. / E il robusto quadrato, ogni faccia nitida sulla carta” è detto in Geometria descrittiva, ma anche, in Materia oscura, “lo spazio è tempo che non è accaduto in nessun luogo”).

Elisa Díaz Castelo è una voce nuova e particolarmente interessante della poesia latinoamericana degli ultimi anni, poeta che ha saputo inserirsi nella recente tendenza molto vivace sulle tematiche legate al corpo e alla fisicità, assorbendole in maniera del tutto personale e offrendo nuovi orizzonti attraverso l’opportuno rapporto con conoscenze e linguaggio desunti dalle scienze.

Pubblicato su Succedeoggi.it

La foto di copertina è di Giuseppe Grattacaso 

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