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Cara Szymborska

Cara Szymborska,
la notizia della tua morte sul Corriere della Sera online occupa poco spazio tra le informazioni sui criteri in base ai quali si calcolerà il reddito degli italiani (ci saranno, è detto, anche colf e cavalli), il bollettino dei danni che il gelo sta causando nel nostro paese e la rivelazione, per qualcuno evidentemente fondamentale, che Angelina Jolie da ragazzina amava il karaoke.
Credo che la cosa ti divertirebbe. Hai sempre amato l’incongruente manifestarsi della realtà in forme bizzarre e dialoganti, l’irrazionale distribuirsi degli oggetti, privo, almeno all’apparenza, di ogni costrutto. Tu in questo sparpagliato teatro di contraddizioni cercavi fili invisibili, imbastivi trame, sicura che all’illogico dimenarsi dell’esistenza bisognasse contrapporre la beffarda e risentita volontà di tracciare un disegno dai contorni chiari, la rappresentazione netta dell’irrappresentabile e nemmeno tanto tremendo disordine. Il tempo va avanti nella sua presunzione di oggettività, il mondo mescola in continuazione le carte, e tu ti divertivi a smascherare congegni e sconnessioni, a fingere di rimettere le cose a posto.
L’articolo, stai tranquilla, non dice nulla. Si limita a ricordare il Nobel, a dire la tua età, che ora che sei morta in effetti non vale più niente sapere, ma che credo nel tuo caso avesse poca importanza anche quando eri in vita. Si citano alla rinfusa i titoli dei tuoi libri tradotti nella nostra lingua, ma le informazioni al proposito sono poche e frammentarie e non so perché si fermano al 1996. Anche questo ti avrebbe fatto sorridere. Del resto per riassumere una vita non c’è bisogno di tante parole, bastano pochi versi. Avresti aggiunto: “Hanno letto da un foglietto / a) era un tipo cordiale, / b) voi orchestre suonate, / c) peccato fosse mortale”; oppure con una punta di malcelato orgoglio: “Qui giace come una virgola antiquata / l’autrice di qualche poesia”.
Io vorrei che l’articolo mi desse notizie del tuo gatto. Mi domando cosa farà nel tuo appartamento se tu non ci sei più. Te lo eri chiesta qualche anno fa anche tu di un altro gatto, a proposito della scomparsa di non so chi. “Morire – questo a un gatto non si fa. / Perché cosa può fare il gatto / in un appartamento vuoto? / Arrampicarsi sulle pareti. / Strofinarsi tra i mobili. / Qui niente sembra cambiato, / eppure tutto è mutato. / Niente sembra spostato, / eppure tutto è fuori posto. / E la sera la lampada non brilla più. // Si sentono passi sulle scale, / ma non sono quelli. / Anche la mano che mette il pesce nel piattino / non è quella di prima”.
Vorrei sapere se ora sparpaglia le tue carte sulla scrivania, se ti aspetta con l’aria un po’ offesa. Se ne hai notizia, per favore fammi sapere.

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