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L’OMBRA DI CHI PASSA di Alessandro Quattrone (Puntoacapo)

L’editoria di poesia vive ormai da decenni in una condizione di sospensione, uno stato vegetativo da cui sembra impossibile riemergere. Non essendo neppure più considerata fiore all’occhiello per le case editrici, che potevano così giustificare scelte su altri versanti assolutamente commerciali, non supportata da nessuna forma di promozione, finisce per sottostare a scelte determinate da decisioni di basso profilo, se non addirittura prive di senso. Ne fanno le spese libri di notevole livello, cui viene offerta la possibilità di affrontare il pubblico, quello beninteso ridottissimo del caso, solo grazie alla presenza coraggiosa di piccole case editrici specializzate, che si barcamenano tra mille difficoltà, tra cui quella di non essere in grado di garantire una distribuzione adeguata, attività peraltro non sostenuta, nel caso della poesia, nemmeno dalle grandi case.

La premessa vale a raccomandare attenzione verso le proposte di un agguerrito gruppo di editori di poesia e a introdurre il discorso relativo al nuovo libro di versi di Alessandro Quattrone, L’ombra di chi passa, edito da Puntoacapo. Si tratta infatti di un volume che raccoglie liriche di grande intensità, degne di arrivare a un pubblico vasto, se non altro per il rifiuto di muoversi all’interno di un panorama asfitticamente introspettivo, paesaggio spesso frequentato dalla produzione poetica italiana degli ultimi anni. La poesia di Quattrone risolve la complessità del pensiero, la ricerca di un oltre sempre imperscrutabile e perciò destinato ad essere costantemente cercato, l’apparente banalità di un quotidiano che in effetti nasconde mille insidie e innumerevoli domande, in un dettato chiaro ed accessibile, che invita il lettore a una relazione, apparentemente fondata su presupposti scontati, ma che presto si snoda in riflessioni che costringono ad un’ottica inconsueta e frastornante. 

Alessandro Quattrone è nato nel 1958 a Reggio Calabria e vive da tempo a Como, dove insegna. Il suo primo libro di poesia, Interrogare la pioggia, risale al 1984; al volume d’esordio fece seguito nel 1993 Passeggiate e inseguimenti. Dopo un lungo silenzio poetico, puntellato da varie traduzioni e dalla pubblicazione di un romanzo, nel 2013 ha dato alle stampe la raccolta Prove di lontananza.

Il mondo che si delinea in L’ombra di chi passa è limitato a un territorio circoscritto, popolato di oggetti, di piante, di animali, soprattutto di insetti, riconoscibili e familiari. La zanzara, la mosca, la cimice, la formica, il passero sembrano costringere autore e lettore a limitare lo sguardo agli immediati dintorni, si pongono come un freno perché il passo non ardisca verso paesaggi insoliti. Eppure i versi svoltano presto verso verità inaspettate, soluzioni penetranti e impreviste. Il conosciuto serve da ancora che tenga al riparo da possibili scivolamenti, si propone come una prospettiva agognata, ma in effetti irrealizzabile, come è detto già nella lirica che apre il volume: “Sapessimo imitare la saggezza / delle cose ferme al loro posto / da mesi o da decenni, / noi anime in continuo movimento / senza una terra né un giardino / dove obbedire muti alle stagioni, / sapessimo restare immobili / come quadri appesi alle pareti, / con i nostri colori che chiedono solo / di avere una forma e una cornice”.

Gli insetti devono al loro essere piccoli e alla brevità della vita il raggiungimento di una beata consapevolezza senza aspettative, che li libera dalle incertezze relative al futuro e dalle domande sul proprio stato. Così la pioggia che cade inesausta cancella rumori e voci nella strada, “ma risparmia il suono impazzito / della cimice che si sa mortale”. Del resto anche l’uomo è un essere piccolissimo di fronte ai grandi accadimenti della natura e ai suoi numeri, anche l’uomo nella sua ricerca infinita sembra alternare “silenzio e ronzio, sbattendo / contro il soffitto e le pareti”, ma la sua condanna è continuare a credere che sia possibile il futuro e che il passato sia veramente custodito da qualche parte. Ed è per questo che il piccolo essere umano non riesce a trovare una collocazione che lo soddisfi, un posto nel quale sentirsi veramente a casa: “Guardando questa immensa trasparenza / non sappiamo se è il nulla o la pienezza / che amiamo, e rimaniamo a lungo incerti / fra vertigine e equilibrio”.

La realtà, proprio quando si presenta ordinata e precisa, appare minacciosa, perché ci mette di fronte alla nostra volontà di dare un senso al mondo, di comporre in un disegno nitido e preciso i pezzi frammentati dell’esistenza, per scoprire che c’è sempre qualcosa che non torna, un particolare che rimette tutto in discussione: “La cucina pulita ci minaccia / con i suoi silenzi di bottiglie vuote, / con i suoi mormorii di uva bianca, / con la tranquillità irrimediabile / di un calendario scaduto”.

E’ possibile recuperare momenti di pienezza, di soddisfatta autenticità, solo a costo di credere che la felicità sia esercizio passeggero e che essa risieda in avvenimenti minimi, nel precario benessere di un attimo di equilibrio. Chi però, anche se solo per un momento, anche se solo per “miracolo, magia, fantasia”, ha raggiunto una comprensione, sia pure del tutto parziale, della nostra vicenda nel mondo, non può che guardare agli altri, secondo un modello che arriva a Quattrone da Sbarbaro e Montale, come a ombre, a una folla di “appestati incosapevoli” (“una compagnia di strani condannati sorridenti” li chiamava il poeta di Pianissimo; “gli uomini che non si voltano”, “l’altre ombre che scantonano” scriveva Montale): “Quanto azzurro allegro d’ombre / intermittenti sulla sponda del lago: / è solo un intervallo, questo, / solo una breve pausa lirica / nel trascorrere di un cammino epico. / Una folla vagante di appestati / inconsapevoli, colmi di storia / e di giudizi, ci trascorre accanto. / Tutti possessori di porzioni / di aria, di acqua, di nuvole”.

(pubblicato sulla rivista online Succedeoggi)

 

 

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