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Sinisgalli, il cuore (introvabile) della poesia

Che libro meraviglioso è L’età della luna! Fu pubblicato nello Specchio mondadoriano nel 1962. Leonardo Sinisgalli, che ne è l’autore, aveva allora 54 anni, viveva a Roma e di tanto in tanto si recava a Montemurro, il paese della Lucania dove era nato e che torna spesso nei suoi versi. Era poeta, ingegnere, matematico, curava la pubblicità per Eni e Alitalia. In passato aveva diretto il settore pubblicità della Pirelli e fondato e guidato la rivista di cultura scientifica La civiltà delle macchine.

Leonardo Sinisgalli, in una foto di Federico Patellani
Leonardo Sinisgalli, in una foto di Federico Patellani

L’età della luna è un prosimetro, una raccolta di prose e poesie (ma forse sarebbe meglio dire testi poetici in prosa e testi poetici in versi), scritte tra il 1956 e il ’62. Il testo che apre il libro, Poesia, si compone di un solo rigo (o è un verso?): “L’amore del Poeta è la realtà che egli distrugge”.

Nel corso del libro si parla spesso di poesia, con tono sentenzioso, sorpreso, ironico, divertito. In una prosa che fa parte della sezione L’immobilità dello scriba, Sinisgalli afferma che i critici svolgono “operazioni chirurgiche, alcune assai delicate (…) con la benda davanti alla bocca per arrivare al midollo spinale del povero poeta smidollato”. I critici “cercano la logica nei poeti”, ai quali giova però soprattutto “la loro innocenza”. Sinisgalli confessa: “Il mio sforzo di scrivere versi è stato appunto il disprezzo della mia saggezza”. E poi: “Credo di non sapere ancora quale sia precisamente il mestiere di poeta”.

Disprezzare la propria saggezza può anche significare non predisporre ma raccogliere. Il poeta insomma non si muove convinto verso un punto d’arrivo, verso l’obiettivo programmato, perché non ha un progetto. Non sa nemmeno capire perché il suo discordo sia partito proprio da quel verso, cosa l’abbia indotto a cominciare da lì.

Sinisgalli conclude: “I versi hanno una concatenazione che non si rivela in superficie. Convergono verso un punto che le stratificazioni possono nascondere a qualunque scandaglio, un cuore introvabile”.

Questo non significa che la parola della poesia debba essere oscura per statuto, ma solo che forse il mestiere del poeta, anche del poeta che più nitidamente ci consegna i suoi versi, è quello di rendere introvabile il cuore della poesia, di sapere che se una logica esiste è nascosta sotto le stratificazioni dei versi. Lì, in un luogo che non si rivela, c’è qualcosa che si muove continuamente, che cambia di forma e di colore.

Il mestiere di poeta (non lo dice lo stesso Sinisgalli ad inizio del libro?) è fondato intorno all’atto di distruggere la realtà, anzi intorno alla consapevolezza che, agli occhi di chi la ama, la realtà non può che apparire distrutta: scomposta, baluginante, rarefatta. E il poeta non può che tentare, all’infinito, di ricomporre in unità la parole, per dire la frammentazione della realtà.

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