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Rischi editoriali

In una intervista pubblicata sul sito La stanza di Virginia, Daniela Di Sora, creatrice e responsabile della casa editrice Voland, afferma di amare molto la poesia, “anche se non sono così folle da pubblicarla” aggiunge. Esperta di letteratura russa, la Di Sora ha collocato l’amore per le lettere slave alla base della sua attività di editore. La Voland dunque, a parte i libri di Amèlie Nothomb, il cui successo di vendite, per ammissione della stessa Di Sora, permette alla casa editrice di operare scelte più rischiose dal punto di vista commerciale, pubblica soprattutto autori contemporanei dell’est europeo, come ad esempio tale Zachar Prilepin, di cui nell’intervista viene consigliata la lettura, oppure, scorro gli ultimi titoli in catalogo, Georgi Gospodinov, “uno dei più promettenti autori bulgari” o Mircea Cărtărescu, “considerato il più importante autore rumeno contemporaneo”.
Ora, se un editore che affronta il rischio di pubblicare romanzi e racconti di autori pressocché sconosciuti al grande pubblico, oltretutto di letterature che di certo da noi non godono di particolare richiamo, considera la poesia come una vera e propria follia editoriale, una ragione ci deve essere.
Alla base c’è la convinzione, diffusissima oggi in Italia, che la poesia venda poco o nulla. Naturalmente è vero, così come è vero però che lo stesso accade per buona parte della saggistica e che tra i romanzi non sono pochi quelli che realizzano un riscontro minore di un libro di poesie di un autore mediamente conosciuto.
La verità (una delle verità, naturalmente) è che non esiste una seria politica editoriale relativa alla poesia. Gli editori, lo si deduce chiaramente dall’affermazione della Di Sora, concepiscono la poesia come un rischio commerciale che è meglio non correre. La poesia, almeno dal loro punto di vista, rappresenta un pericolo, quando non addirittura un fastidio. Sono pochissimi, o forse nessuno, gli editori che compiono scelte che tengano conto dei gusti e dei bisogni del pubblico, come avveniva in passato e come avviene ancora oggi in altri paesi.
E’ proprio vero che di poesia oggi nessuno vuole sentire parlare? O forse avviene che un lettore, che vorrebbe leggere versi ma non è un addetto ai lavori, riesca con grande difficoltà ad indirizzarsi verso un prodotto poetico che lo soddisfi? Colpa dei poeti certo, interessati più al giudizio dell’amico critico che alla possibilità di farsi leggere da altri che non siano altri poeti o recensori, ma anche di un meccanismo editoriale perverso, che ha reso la poesia un luogo misconosciuto e disagevole.
Si dice: nessuno compra libri di poesia. Ma anche a volerlo fare, come procedere? Dove sono i volumi di poesia nelle librerie? E chi ci ha mai consigliato un autore o ci ha suggerito una raccolta che in fondo, più di un romanzo, parla proprio dei nostri problemi?
All’industria libraria basta che la poesia sopravviva, alla stregua di un dovere mal sopportato, di una tisana che forse fa bene, ma che si ingerisce a fatica e senza nessun piacere. Basta dare alle stampe lo stretto necessario. Così anche l’editore Di Sora potrà continuare a leggere e ad amare la poesia. Senza pubblicarla, beninteso.

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