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Programmi scolastici, l’arte di riflettere e la sindrome di Bianconiglio

Una scuola che voglia creare le condizioni per essere buona, tanto per riprendere lo slogan forse un po’ abusato ma efficace dell’attuale governo, non può prescindere dalla rimozione del preconcetto, fin troppo presente negli adulti, anche in coloro che insegnano, che i ragazzi formino un’indistinta massa di superficiali, incapaci di sviluppare qualsiasi pensiero critico o di operare un ragionamento che non poggi su argomentazioni del tutto inconsistenti. Se gli studenti rimangono come inebetiti di fronte a un mondo che si è velocemente complicato, certo ciò non trae origine da una loro prerogativa genetica, né solo dalla velocità del cambiamento, ma dipende anche da una carenza nell’attitudine al pensiero logico, che è ormai caratteristica generale, e dalla mancanza delle parole che servono a svilupparlo. Se i ragazzi sono privi degli strumenti utili per accettare e sostenere il confronto, ciò nasce in parte anche dall’inadeguata proposta didattica, che non riesce più a tradurre in argomenti di riflessione, in scoperta e in curiosità, i contenuti culturali, siano essi tradizionali o legati ai cambiamenti che hanno profondamente modificato il nostro stesso modo di vivere, stravolgendone i parametri di riferimento. I-libri-di-scuola-online-103-istituti-hanno-aderito
Non è un caso che nell’interessante dibattito ospitato sul Domenicale del Sole 24 ore, promosso da un’intervista di Armando Massarenti a Marta Nussbaum e poi proseguito con vari e pregevoli contributi (sia detto per inciso che il quotidiano economico è l’unico giornale che da tempo affronti la questione scuola non in termini allarmistici, ma entrando nel merito di proposte e prospettive), sia proprio emersa l’esigenza di introdurre percorsi didattici che rendano centrali l’arte di riflettere e la pratica della logica.
Sulla questione è intervenuto, sul numero del 15 febbraio 2015, Franco Lorenzoni, fondatore e animatore del centro di sperimentazione educativa casa-laboratorio di Cenci, ad Amelia, per ricordare come la scuola dovrebbe innanzitutto ripensare i metodi di insegnamento e “diffondere la didattica che è capace di promuovere il confronto e sostare intorno a domande aperte”. Insomma il contrario di quanto viene praticato, soprattutto nei licei, dove troppo frequentemente l’insegnante è colui che sa e gli studenti coloro che devono ricevere informazioni e incamerarle. In questo genere di scuola, dove l’invadenza burocratica e la pressione ipercognitivista creano ristagni paludosi e generano insofferenza e monotonia, le domande che non abbiano una risposta certa e blindata sono bandite e l’idea del sostare crea tormentati imbarazzi. Insomma nella scuola contraddistinta dalla continua misurazione dei risultati, vanno aggirate le domande, quello che conta sono le risposte.
A scuola non si può sostare, perché è necessario che gli studenti continuino ad immagazzinare dati, anche se essi risultano spesso privi di profondità. Chissà perché nello spazio quasi sempre privo di attrattive tra cattedra e banchi si ha frequentemente l’impressione di essere in ritardo, si vive preda dell’angoscia di non avere tempo per mettere insieme, in effetti per ammassare, tutte quelle conoscenze che si vorrebbe. I’m late, I’m late, for a very important date, dice Bianconiglio con il suo enorme orologio tra le mani, senza che ci sia un vero obiettivo nel suo correre, tranne quello determinato dalla paura di fare tardi. A scuola la sensazione di panico che coglie insegnanti (soprattutto) e studenti si rileva di fronte ad ogni possibile rallentamento dell’attuazione del Programma.
bianconiglioRiflettere, abituarsi al confronto e all’ascolto, imparare a porre problemi piuttosto che cercarne solo la soluzione, utilizzare procedimenti logici ed essere in grado di riconoscerli, sono attività che hanno bisogno di tempo. Completare il Programma, aggiungendo argomenti su argomenti, senza la possibilità di farli propri e di comprendere le domande che essi contengono, non aiuta a crescere e dunque ad affrontare le domande della vita. Scrive Lorenzoni: “Personalmente ritengo che dovremmo proporre meno contenuti e svolgerli con cura e profondità, perché il grande nemico di ogni crescita culturale sta nella semplificazione”.
La letteratura è il terreno privilegiato nel quale porsi delle domande, che non hanno quasi mai risposta, ma che impongono riflessione e senso critico. E’ il luogo dove la semplificazione è impossibile. Bisognerebbe però interrogare e farsi interrogare dalle opere, piuttosto che fornire semplificate informazioni sulle opere stesse, cercare delle soluzioni e tenersi il più possibile lontani dalle parole di poeti e narratori. Per uno studio della letteratura che preveda la centralità dell’opera, c’è bisogno però di un diverso approccio che non miri a fare tanto, ma che punti invece a soffermarsi sulle parole, senza diventare preda della paura che un maggiore approfondimento sia di ostacolo al completamento del Programma.

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