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L’ASSO NELLA NEVE di Anna Maria Carpi (Transeuropa)

Ci sono occasioni in cui la poesia riesce a parlare a tutti coloro che le si accostano, affondando con grazia limpida ed accessibile, con acuta e sofferente determinazione, nelle ordinarie eppure particolarissime manifestazioni della vita di tutti i giorni. Si pubblicano oggi in Italia ancora raccolte di versi, che dovrebbero leggere tutti coloro che sostengono che la poesia, per statuto suo proprio o per intima e ormai irreversibile aberrazione, debba per forza mostrarsi come un percorso irto di difficoltà, linguaggio criptico e in parte inaccessibile, codice per iniziati insomma, che si consuma nell’ambito costretto e circoscritto di un circolo di affiliati che finiscono per scambiarsi messaggi tra di loro. Ci sono libri che riescono a coniugare la massima densità di significato con una leggibilità che recupera a nuovo senso la lingua della comunicazione quotidiana, libri che si oppongono come un vessillo di trasparenza a quanti di fronte ad una raccolta di poesie reagiscono con il più netto e consueto dei rifiuti: “io la poesia non la capisco”.
L’asso nella nevedi Anna Maria Carpi, pubblicato da Transeuropa, è uno di questi libri, occasione rara per avvicinarsi alla poesia con rinnovata speranza che essa sappia dire con limpida compostezza le inconcludenze e le bellezze del mondo. La Carpi allunga il suo sguardo rapito e curioso, sempre penetrante, sulle vicende minime e consuete della vita di tutti i giorni e ce ne rimanda le immagini attraverso una lingua che privilegia il registro colloquiale, nobilitata però, e nello stesso tempo straniata, da una musicalità suadente, controllata con estrema perizia e senso dell’armonia. Sta di fatto che le vicende quotidiane raccontate dalla Carpi, proprio nel momento in cui sembrano parte del banale patrimonio che accompagna tutte le nostre giornate, lasciano emergere una verità nascosta, una scoperta improvvisa, un accesso imprevisto verso l’inaccessibile, che ci viene comunque offerto con garbata, quasi noncurante, pacatezza. “La vita è questo” affermano in vario modo le liriche de L’asso nella neve, e cioè entrare in banca, al supermercato, prendere la metropolitana, perdersi nelle mille occupazioni quotidiane, passare le serate con gli amici, andare alle inaugurazioni delle mostre, viaggiare. “La vita è questo” dice a se stessa la poetessa, bisogna in qualche modo adattarsi al turbinio privo di senso, al nulla che si nasconde dietro ogni gesto. E conclude: “Io perché non ne ho voglia? / Perché non mi riprendo come la mia azalea? / Era appassita, i fiori come stracci. / Le era mancata l’acqua, io gliel’ho data / senza speranza e invece stamattina / è ritta viva ignara risplendente”.
C’è sempre una soluzione inattesa nei versi della Carpi, un evento che mescola le carte che sembravano ordinatamente e ordinariamente disposte, e che induce a un repentino cambio di prospettiva, che suggerisce che le regole non sono forse quelle cui ci siamo finora attenuti. I temi della raccolta sono quelli consueti dell’amore e della morte, delle relazioni di coppia e dei rapporti con gli altri, più o meno estranei, ma sono argomenti riproposti e verrebbe da dire rivissuti con “disperata leggerezza”, con vivacità e rapimento, tanto più inaspettati di fronte al ripetuto grigiore dell’esistenza: “… che stortura / è avere un corpo, un volto, quello solo, / e che è soltanto carne, / la data di scadenza scritta in piccolo, / o dentro o sotto, dove nessuno legge. / Si aspetta il verde, si traversa la strada, / si scende nel metrò, si fa la spesa, / si prenotano viaggi, si entra in banca. / Singoli alieni con tatuaggi e piercing, / singoli con i figli da mandare a scuola, / singoli come me soli e scontenti. / E dopo e dopo e dopo? / Dove guardano tutti questi occhi?”.
La morte nelle poesie de L’asso nella neve è spesso solo un pensiero che proietta una specie di preventiva nostalgia per quella parte di vita che continuerà dopo la fine, quando, malgrado la nostra assenza, le cose rimarranno al loro posto e i vivi continueranno a frequentare i luoghi che anche noi frequentavamo, a fare acquisti, a passeggiare. “C’è una via di negozi” certifica la poetessa, “se ci sarà dopo di me io voglio / restarvi come un passero la sera / quando i vivi vanno a far la spesa: / il vorace vola anche lui dentro, / nel bianco algido del supermercato, / campa di briciole, ma non è di cibo / che lui è in cerca. Loro non lo sanno / quale gioia è vederli, stare in mezzo / alla cara brigata di migranti / coi loro acquisti, in fila verso il nulla / una casa, una sera un dopocena”.
Sono gli altri l’ossessione della Carpi, la grande massa degli amati, dei vicini e degli sconosciuti che popolano la nostra esistenza. Sono loro che puntellano la nostra vita e che si vorrebbe abbracciare, ma dei quali si desidera anche non avere bisogno. Da una parte si avverte quasi una brama di possesso, una voglia struggente di essere concretamente nelle vite di tutti, dall’altra una necessità di solitudine, che è insieme desiderio vitale e condanna, piacere e strada impercorribile. “Gli altri: io li voglio tutti, / solo tutti insieme / li posso amare / e di uno soltanto ho poca voglia”.

(pubblicato su Giudizio Universale)

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