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La cultura in tv secondo Ungaretti

A partire dalle cartoline inviate dal fronte, durante il primo conflitto mondiale, per arrivare alla lettere degli ultimi anni vergate con l’inchiostro verde, l’attività epistolare di Giuseppe Ungaretti è sempre stata intensa ed ha contenuto informazioni importanti per comprendere la sua opera e il suo pensiero. Ce lo ricorda Silvia Zoppi Garampi nel suo volume Le lettere di Ungaretti, pubblicato da Salerno editrice nel 2018.

La Zoppi Garampi sottolinea d’altra parte l’intenzione del poeta di caricare i suoi scritti epistolari di un valore che possa andare bel al di là del semplice scambio di informazioni, tanto che appare difficile credere che l’autore non ne prefigurasse, prima o dopo, la pubblicazione. 

Tra gli interlocutori privilegiati di Ungaretti c’è stato per diversi anni, e fino alla morte dell’autore de L’allegria, il critico Leone Piccioni, a cui il più anziano poeta dedicherà attenzioni costanti e del quale terrà in massimo conto le considerazioni. 

Piccioni fu il creatore e l’animatore della trasmissione televisiva L’Approdo, la cui prima puntata andò in onda nel febbraio del 1963 e che annoverava nel Comitato direttivo anche lo stesso Ungaretti.

In una lettera a Piccioni (che è possibile leggere nel volume, edito da Mondadori anche questo a cura di Silvia Zoppi Garampi, L’allegria è il mio elemento. Trecento lettere con Leone Piccioni), il poeta, che amava addentrarsi anche su questioni riguardanti la comunicazione, considera come una trasmissione a carattere culturale, quale era appunto L’Approdo, dovesse considerare tra i suoi primari obiettivi anche quello di rivolgersi ad un pubblico di non addetti ai lavori, anche se abituato all’arte e alle cose culturalmente significative di cui il nostro paese è particolarmente ricco. Scrive Ungaretti che bisogna far parlare i protagonisti e le opere, rivolgendosi al pubblico attraverso “informazioni rapide e chiare”. Per il poeta non bisogna dare niente per scontato: anche le informazioni più semplici possono invitare alla comprensione di un’opera.

“La cultura non si diffonde – conclude Ungaretti – che facendo nascere nel maggior numero di persone, in un numero crescente di persone, curiosità, voglia di saperne di più”.

E’ una lezione che non riguarda solo la comunicazione televisiva, ma anzi che suggerisce di considerare la letteratura, e più in generale la cultura, un bene collettivo e uno strumento di crescita che non si deve credere destinato a pochi, ma che anzi gli intellettuali, gli scrittori, i poeti hanno l’obbligo di diffondere e divulgare.

Ne consegue, traducendo le affermazioni di Ungaretti anche ad uso dei nostri tempi (pensiamo non più solo ai media tradizionalmente intesi, ma anche ai social network), che un poeta deve mettersi al servizio della poesia stessa, evitando di ritenerla comprensibile solo a pochi ed evitando insieme di guardare ai mezzi di diffusione di massa con superbia e presunzione. Bisogna insomma sottrarsi a ogni pedanteria, ma anche cancellare la spocchia che contraddistingue un gran numero di intellettuali quando il messaggio si rivolge a molti.

La lezione potrebbe essere indirizzata, indirettamente anche agli insegnanti: semplificare, eliminare il superfluo, dare “ritmo” alle proprie affermazioni, avvicina i giovani alle opere e dunque all’interesse per la lettura. La letteratura si può raccontare, con l’intento di produrre coinvolgimento. Lo studio più approfondito verrà dopo. Quello che è importante (perché non credere al suggerimento di Ungaretti?) è innanzitutto destare curiosità.

 

 

 

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