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INTER NOS di Giacomo Trinci (Aragno)

 

Giacomo Trinci è un poeta che riesce a far dialogare la propria vasta e raffinata cultura con un sentimento sinceramente popolare, la tensione civile o comunque il senso del malessere profondo nel quale si aggira e si contorce la nostra civiltà, che molto spesso prorompe dai sui versi, con un tono a tratti scanzonato e provocatorio. La sua poesia combina, in una miscela audace, materiale lessicale di diversa e lontana provenienza, la parola colta della tradizione letteraria con il sillabare intermittente e incompiuto dei nostri giorni. Ne è riprova il suo nuovo lavoro Inter nos, pubblicato da Aragno, un libro massiccio e compatto, denso di circa duecento liriche, divise in cinque ampie sezioni, introdotte da un prologo. giacomo-trinci-4
La voce di Trinci, senz’altro originale e immediatamente riconoscibile, coerente nelle varie prove della sua già significativa produzione (dopo l’esordio di Cella del 1994, vanno ricordati Telemachia, Resto di me e il più recente Senz’altro pensiero), si affida, in questo caso in maniera ancora più marcata, ad un cantabile di matrice operistica, sicuramente derivato dalla passione del poeta pistoiese per il melodramma, dai suoi studi di canto lirico e dalla tendenza, particolarmente accentuata in questo volume, a mascherare da inezia le tragiche rivelazioni quotidiane, figlie del pensiero che si sofferma sull’analisi spietata delle piccolezze e delle ipocrisie, del moralismo distorto, che caratterizzano le nostre vite. Lo scivolamento avviene per mezzo di una lingua che tende al gioco e alla contraffazione, al parapiglia sonoro, un impasto continuamente in bilico tra il mélo a tinte forti e l’opera buffa: “come corse la vita e tutto prese, / anni dismessi, frutto di contese, / le attese incespicate dentro il tempo, // mancate sempre in vivido alimento, / adesso al sole brucio il cuoio, il viso: / ghiaccia la mente, tenero il sorriso”, che sono versi tra i tanti a loro modo esplicativi di una maniera di guardarsi e di guardare il mondo, ricavati dalla sezione che non a caso ha titolo Recitativi ed arie (e del resto la parte conclusiva del volume si intitola Improvvisi e romanze).
Se la parola tende al cantato e al melodramma, la realtà si presenta spesso su un palcoscenico, dove è chiaro che la finzione fa la sua parte, ma dove pure bisogna credere a quello che si vede. La vita, così come si rappresenta nelle poesie di Inter nos, è crudele e brutale, ma è necessario ad essa abbandonarsi, stare al suo gioco, seguirne il flusso: “il guaio è che l’astrazione è reale più della realtà, più solida del solito dire, / del dissoluto crampo del falso, / del mistificante, del musicante nomade da strada / che elemosina, del miagolio del gatto, / d’ogni ratto per vicoli e per vie, / l’astrazione che scommette e che sconnette / vita, rito, fato, e tutte questa parolone vuote, / l’astrazione capitale è più vera / del verosimile che figlia”.
E’ quasi la sonorità delle parole a far partire il flusso che conduce al significato, richiamando altre parole per assonanza; è la loro fisicità almeno in apparenza a costruire il senso. Il poeta è dunque il protagonista che si affanna a manifestare tutta la propria fragilità di artefice e artefatto. In ogni caso il rischio di una soluzione di maniera è solo sfiorato. Lo sbandamento prodotto dalla collisione lessicale, la vertigine acustica, servono a raffigurare una realtà che si presenta frantumata, sfilacciata, che appare indigesta ed estranea, perché si compone di mille quadri, spesso in contraddizione gli uni con gli altri, è franta e i pezzi, disseminati secondo un disegno disordinato, non sono più componibili: “il trapezio del senso è vorticoso, / ma più non mi lusinga la sua fune / e più nell’aria non vedrai animoso / spargere il nodo del senso comune; / tu scrivi, continua a sermoneggiare, ché tanta vita basta a delirare”.

(pubblicato su succedeoggi.it)

 

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