Please follow & like us :)

Gli amori di Dante e la nostra coscienza

Giuseppe Conte, Dante in Love, Giunti

Dante è un fantasma, anzi come lui stesso si presenta, “un’ombra”, nell’appassionato Dante in Love di Giuseppe Conte (Giunti editore, pagg. 194, € 17), opera che si muove con risoluta e felice leggerezza tra narrazione e riflessione critica, tra fiction e ricostruzione biografica, sempre comunque con l’intenzione di intervenire sulle vicende politiche e sociali dell’epoca che stiamo attraversando.

È Dante stesso a raccontare che il suo ritorno sulla terra si rinnova il 25 marzo di ogni anno, per una sola notte. Lo vuole il Signore dell’Universo, che lo ha accolto tra gli eletti, ma lo ha anche condannato a questa forzata, invisibile ricomparsa tra gli umani. Il poeta della Commedia, l’ideatore della straordinaria macchina di un mondo ultraterreno regolato dal sistema del contrappasso, finisce a sua volta per scontare una pena determinata, sembrerebbe, dalla stessa legge, che lo porta ogni anno a ritrovarsi nella sua Firenze, a sostare davanti al Battistero, condannato a non potersi completamente liberare dalla sua condizione terrena, lui che ha peccato per troppa passione d’amore, per troppa attenzione alla bellezza dei corpi e della poesia. “La bellezza dei corpi mi fa male, mi rende schiavo”, ancora, a distanza di secoli, pur in forma solo di incorporea presenza, confessa il poeta divenuto fantasma. Da quel punto di vista privilegiato, da quell’angolo di mondo sempre uguale, eppure anno dopo anno diverso, l’ombra di Dante può costatare quello che gli esseri umani sono diventati, quello che non hanno mai smesso di essere.

Sono passati settecento anni e Dante ritorna per l’ennesima volta nel cuore antico della città “amata e odiatissima”, obbligato a rendersi conto che gli esseri umani, oggi ancora di più che alla sua epoca, “vivono come sanno, alla giornata, senza mai domandarsi niente, felici nel chiasso e nel non sapere”. L’anno prima è successo qualcosa di orribile, “una minaccia oscura” sembrava pesare sull’aria, rendendola irrespirabile, “i pochissimi passanti avevano i volti nascosti” e “ognuno stava per proprio conto, come se avesse paura di avvicinarsi agli altri”. È successo qualcosa di grave e di estremamente significativo, che però non è servito e non servirà a cambiare i comportamenti, perché “gli uomini non leggono i segni nefasti dei tempi, sono nemici delle profezie, si turano le orecchie”

Dante finisce per rappresentare così, come lo è stato in passato attraverso la sua opera di poeta e di intellettuale, la nostra coscienza di donne e di uomini di oggi, ormai abituati “a vivere in superficie, in un presente senza materia, in una luce che non è quella del sole e della luna”, ma anzi è spesso quella degli schermi, “grandi oppure che stanno sul palmo della mano”, che ormai accompagnano le nostre vite e che sembrano orientarle attraversoimmagini evanescenti che appaiono e scompaiono con un tocco della punta del dito”. È una coscienza, una voce, uno sguardo, che producono nel lettore, a cui inizialmente Dante si rivolge (“fratello che non so chi sei, dove sei”), una visione straniata, che ci permette di allontanarci dalle cose e dalle vicende di tutti i giorni, che sembrano così naturali, e di guardarle per quello che sono, con i limiti che le caratterizzano e le abitano. Il sommo poeta dunque si meraviglia ed esprime dei giudizi morali, si rende conto, anno dopo anno, di come la vita degli esseri umani si sia trasformata, di come essi siano sempre più lontani dalla natura e dalle sue manifestazioni, di come l’agire di donne e di uomini, sia pure a distanza di secoli, non sia diventato più nobile né più civile ed onesto. L’Italia è ancora “una nave senza timoniere presa da una tempesta morale, era un bordello, e sembra che dopo sette secoli sia ancora così”. Come in passato, essa è “sposa della corruzione, della inettitudine, della mai abbastanza maledetta fame dell’oro; e invidia, egoismo sopraffazione, superficialità, imbecillità scorrazzano indisturbate nelle sale del potere e delle piazze”.

Giuseppe Conte

Insomma il Dante Alighieri di Dante in Love – c’è da credere spalleggiato dallo stesso Giuseppe Conte, che a volte sembra sovrapporsi con il suo sostegno e la sua voce alla voglia di dissentire e di opporsi che si manifesta nelle parole del poeta della Commedia – è ancora capace di giudicare, condannare, inveire, ma, come i lettori a cui si rivolge, non possiede più quella carica di vitalità e di rabbia che ha contraddistinto la sua vita terrena, è “infelice ma moderatamente” (“sono stanco, sono un’ombra, vadano a farsi fottere, se la nave naufraga” dirà ad un tratto, come a liberarsi dall’altra condanna, che è quella appunto di essere la nostra coscienza civile), è “incapace di sogni”, forse la punizione peggiore per il poeta e, con lui, per l’umanità tutta. Ed è questa anche la nostra condizione di esseri umani incacaci “di sentire fino in fondo l’infelicità” e dunque incapaci di reagire.

Il Dante raccontato da Giuseppe Conte è ancora profondamente attratto dalla bellezza, convinto del resto che la passione d’amore sia stata per lui la condizione di vita “più giusta e la più vera” e che la bellezza è eterna, “è materia che diventa luce”. Il desiderio del resto “vince la forza di gravità”, appartiene insomma anche a un’ombra, che quindi può provare “un turbamento feroce”, uno slancio erotico verso le passanti in cui riconosce “i segni del cielo”. Dante è un’ombra che sente ancora tutte le passioni e le tensioni di quello che fu il proprio corpo.

Conte può dunque in questo modo dirci, usando un chiasmo che rafforza l’ossimoro che contiene, che “l’amore fa male e salva, santifica e condanna” e ripercorrere così la vicenda umana di Dante innanzitutto considerandola sotto i segni dell’amore. Rivolgendosi a Grace, la donna che seguirà per le vie di Firenze e che diventerà la sua interlocutrice, la sua nuova via per la Grazia, l’ombra di Dante dirà che il poema che lei sta leggendo e che lui ha composto diversi secoli prima “parla di tutte le passioni, anche delle più ignobili, turpi, sanguinarie, feroci… Di queste è impastata la vita degli umani quaggiù. Ma il fuoco che ha scaldato tutto il mio lavoro e me stesso è l’amore. Che come vedi ancora non mi abbandona”.

Con Dante in Love, Giuseppe Conte riesce a rivolgersi, attraverso il linguaggio della narrazione e della riflessione critica che vuol essere divulgativa e non ostruente, a tutti i possibili lettori, forse soprattutto ai più giovani, a indicare una strada che non è solo utile per interpretare l’opera di Dante, ma che insieme vuole dirci che siamo dentro un inferno “dove bruciano le foreste, si implastica il mare, l’aria si ammorba, la luce del sole si annuvola, le api scompaiono” e insomma “tutto è deserto e solitudine” e che comunque una direzione è ancora possibile. Nella seconda parte del libro, Conte ci confessa come Dante si sia manifestato come la somma di tutte le sue ombre, “di tutto quel contrasto tra buio e luce di cui sento sempre più forte la presenza in me e nella realtà”, guidandolo a capire che è possibile uscire dal nostro inferno, riuscire nuovamente “a riveder le stelle”, solo non arrendendosi al buio, innamorandosi, “entrando, cadendo a capofitto nel regno d’Amore”. È questo che Dante, fedele all’amore, ancora ci insegna: “attraverso Amore, ci ha mostrato, compiendo il più lungo viaggio che essere umano abbia compiuto, una via d’uscita dalla selva oscura, dal nostro inferno qui ed ora, qualunque esso sia, in qualunque buio si perda e si annulli la nostra mente e la nostra anima”.

Pubblicato su Succedeoggi.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *