E cosa c’entra il poeta de Le ceneri di Gramsci con l’acconciatura irsuta di Hamsik, la cresta di Balotelli? Naturalmente niente. Pasolini del resto, che tanto amava il calcio, e malgrado il suo sguardo profetico, non avrebbe potuto immaginare la deriva in cui il gioco del pallone sarebbe precipitato, né come si sarebbero presentati in campo i suoi protagonisti. Sta di fatto che le zazzere di El Shaarawy di Hamsik, di Balotelli sono diventate immagine di culto, modello da seguire, argomento giornalistico.
Il un articolo del 7 gennaio del 1973 pubblicato sul Corriere della Sera con il titolo Contro i capelli lunghi, poi raccolto negli Scritti corsari, Pasolini sostiene che la foggia della capigliatura rappresenta sostanzialmente un messaggio, espresso in un “linguaggio privo di lessico, di grammatica e di sintassi”. Nell’anno in cui scrive, il messaggio significa altro rispetto a qualche anno prima. Se un tempo era il segnale di una contestazione prima silenziosa poi sempre più rumorosa e numerosa contro la civiltà consumistica e i valori borghesi, in seguito quello stesso segnale, attraverso una serie di passaggi intermedi, era arrivato a comunicare tutt’altro. Pasolini racconta che l’anno prima si trovava nella cittadina di Isfahan, nel cuore della Persia: “per le sue strade, al lavoro, o a passeggio, verso sera, si vedono i ragazzi che si vedevano in Italia una decina di anni fa: figli dignitosi e umili, con le loro belle nuche, le loro belle facce limpide sotto i fieri ciuffi innocenti”. Ma una sera, camminando per la strada principale, Pasolini scorge “tra tutti quei ragazzi antichi, bellissimi e pieni dell’antica dignità umana”, due giovani che si muovono e si presentano in maniera diversa, “due esseri mostruosi” li definisce: “non erano proprio dei capelloni, ma i loro capelli erano tagliati all’europea, lunghi di dietro, corti sulla fronte, resi stopposi dal tiraggio, appiccicati artificialmente intorno al viso con due laidi ciuffetti sopra le orecchie”.
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Il messaggio dei capelli di El Shaarawy e di Hamsik è analogo: voi siete dei perdenti – dicono i loro ciuffi – semmai continuate a credere che studiare possa essere la strada giusta per comprendere la vita e per la vostra affermazione sociale, ma non è così; noi invece siamo coloro che vincono, siamo internazionali e privilegiati, non leggiamo un libro e non ci importa niente del mondo come è stato fino a qualche anno fa, perché esso è profondamente cambiato rispetto a quello in cui hanno vissuto le generazioni precedenti, e sono cambiati i valori e i modi per far valere se stessi.
Pasolini afferma infine, guardando quei giovani degli anni Settanta, e chissà forse pensando anche a El Shaarawy, a Hamsik, a Balotelli e a tanti altri come loro, che “essi sono in realtà andati più indietro dei loro padri, risuscitando nella loro anima terrori e conformismi, e, nel loro aspetto fisico, convenzionalità e miserie che parevano superate per sempre”. E conclude: “È giunto il momento, piuttosto, di dire ai giovani che il loro modo di acconciarsi è orribile, perché servile e volgare. Anzi, è giunto il momento che essi stessi se ne accorgano, e si liberino da questa loro ansia colpevole di attenersi all’ordine degradante dell’orda”.
E’ venuto anche per noi davvero il momento di dire che non ne possiamo più di capigliature scolpite e di tatuaggi mostrati come bandiere: “è orribile, perché servile e volgare”, questo modo di mostrare se stessi, con l’arroganza di chi vorrebbe sembrare straordinario ed è invece solo adeguato ai tempi e fedele al cliché che ci vuole un poco diversi dagli altri per essere dagli altri presi in considerazione. Ma siccome i calciatori di certo non si accorgeranno della sfrontata povertà dei loro messaggi, dovrebbero essere gli allenatori, i presidenti, gli stessi tifosi delle squadre di calcio a liberarli da questa ”ansia colpevole”. Cosa che non succederà. Del resto, tutto questo discorso è privo di senso. Cosa c’entra infatti Pasolini con i capelli di El Shaarawy?