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Celentano, Saviano e la lingua della poesia

Saviano legge in televisione i versi di Wislawa Szymborska e pochi minuti bastano per lasciare un’impressione intensa e profonda nel tranquillo dopocena di telespettatori in gran parte poco abituati al linguaggio della poesia. A distanza di qualche giorno, Adriano Celentano occupa il palco del festival di Sanremo per un tempo apparso interminabile, esibendosi in un sermone dai tratti grotteschi e dal disegno mal distribuito.
Entrambe le apparizioni producono un effetto straniante. La lettura di Saviano lo è in quanto lo scrittore napoletano usa la sua popolarità non per parlare di criminalità organizzata, come è solito fare, ma di poesia. Inoltre non adotta i toni cupi che gli sono consueti, ma si immerge con umiltà nella leggerezza dei versi della Szymborska. Celentano irrompe nell’ambiente superficiale di un festival di evidente carattere popolare, rompendone gli schemi e imponendo, col suo piglio da predicatore, un imprevisto cambio di rappresentazione. I suoi passi sono pesanti, gli accenti grevi, l’aria studiatamente irrespirabile. Il fine ultimo del suo intervento sembra essere proprio questo scartare di lato in modo inaspettato, per far parlare di sé e del contenitore che lo ospita.
Le poesie lette da Saviano sono del genere che non incute timore, che non fornisce risposte, che non vuole offrire prospettive assolute. Del resto la poesia, in genere, non crede che la parola debba servire a condurci in luoghi rassicuranti perché immutabili e dai confini precisamente segnati.
Celentano invece colpisce con violenza a destra e a manca, ma le sue parole producono un esito solo in apparenza sconvolgente ed inquietante. In effetti vogliono farci sentire dei combattenti e degli agitatori, senza che questo ci costi nulla: sono parole che sanno cosa vogliono solo perché gridano a piena voce una verità che non può essere messa in discussione.
La poesia della Szymborska insegna a dubitare, in quanto si nutre di domande (“Ho un elenco di domande / a cui ormai non otterrò risposta, / poiché o sono premature, / o non farò in tempo a comprenderle” è l’incipit della lirica Elenco), e noi siamo un paese che vorrebbe solo avere certezze da urlare. Per qualche minuto Roberto Saviano si è messo al servizio di una lingua che poggia un docile sguardo curioso sul mondo, che non nasconde la propria fragilità e non tenta di mettere ordine tra le cose. Adriano Celentano ha voluto che la lingua fosse al suo servizio, come succede sempre a coloro che pretendono che l’universo sia un sistema in perfetto equilibrio e di cui noi possediamo la chiave di accesso.
Le presenze di Saviano e Celentano in televisione, se messe a confronto l’una con l’altra, assumono il valore di una metafora.

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