Creature di caldo sangue e nervi. La scrittura di Raymond Carver di Antonio Spadaro (Ares edizioni)
Succede, nei racconti di Raymond Carver, che nulla accada, e che pure sia palpabile un destino, il senso tragico e irripetibile di un’esistenza, che emerga una straordinaria tensione emotiva, che può improvvisamente depositarsi sull’ambiente, sugli oggetti. Può sembrare a volte che qualcosa sia già avvenuto e abbia determinato una condizione esistenziale, o che altro potrebbe accadere, un avvenimento prospettato come risolutivo o invece atteso così, con lo stesso caparbio fatalismo con cui si aspettano gli eventi naturali. Nelle vicende raccontate da Carver, le situazioni che si sviluppano sono fatte di piccoli gesti, di circostanze marginali, di avvenimenti all’apparenza senza storia. Eppure sempre il lettore sente di trovarsi di fronte alla densità e alla imperscrutabilità della vita, alla lotta che l’uomo, ogni uomo, deve affrontare per dare un senso alla propria presenza nel mondo, per aggirare o abbattere, provare a farlo, il macigno che gli nega la possibilità di vivere veramente in compagnia degli altri, di comunicare la propria verità, una propria verità, qualunque essa sia. E Carver pare sempre aderire ai propri personaggi. Più sono lontani da lui e più ce ne fa percepire il fiato, più sono indecifrabili nella loro mediocre ordinarietà, più lo scrittore li segue e li accoglie con un abbraccio.
I racconti di Carver sono spesso segnati dai silenzi, quelli dei personaggi certamente, che pure si sobbarcano il peso di lunghi e faticosi dialoghi, ma anche dai silenzi che si manifestano nel non detto che accompagna la narrazione, una zona d’ombra nella quale parrebbe conservata o tratteggiata la pena e la pietà di ciascuno, la combinazione segreta che spiega l’esistenza, ma che è destinata a rimanere sconosciuta, quel tratto brillante di vita che non sa come esprimersi.
A riportare l’attenzione sull’opera di Carver, autore del resto che gode di una crescente considerazione presso i lettori tanto da essere diventato negli anni uno scrittore culto, è l’agile monografia Creature di caldo sangue e nervi. La scrittura di Raymond Carver di Antonio Spadaro, pubblicata per i tipi di Ares. Spadaro ripresenta questo suo lavoro a distanza di venti anni dalla prima edizione, ampliandolo di una premessa e di una sezione finale fotografica, in cui l’autore dà conto di una sorta di suo pellegrinaggio all’Ocean Wiew Cemetery di Port Angeles, per visitare la tomba di Carver: “Io volevo vedere quella tomba, dove Ray si era portato dentro la sua soddisfazione e il suo sforzo. Ma volevo soprattutto leggere con i miei occhi il suo Late Fragment, la sua ultima poesia che egli volle fosse incisa sulla sua tomba: “E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, / nonostante tutto? / Sì. E cos’è che volevi? / Potermi dire amato, / sentirmi amato sulla terra”.
È come se Spadaro voglia fare i conti, riproponendo Creature di caldo sangue e nervi con il lungo e profondo rapporto che lo ha legato alla scrittura di Raymond Carver, scoprendo a venti anni di distanza, e avendo ormai superato da qualche anno i cinquanta di vita, che lo scrittore statunitense lo ha aiutato a capire che può perfino succedere che “il tuo racconto non regge”, cioè non presenta lo sviluppo desiderato il racconto più particolarmente significativo, quello della propria esistenza. Allora “devi capire le cose in un altro modo o almeno lasciare spazio al mistero della vita che a volte confonde”. Carver insomma diventa maestro e compagno di strada, e questo è ancora più significativo se si pensa che Antonio Spadaro, oltre che essere esperto di letteratura americana e far parte del Board of Directors della Georgetown University di Washington, è gesuita, teologo e direttore della rivista La Civiltà Cattolica. Quello che Carver gli ha insegnato, confessa ancora Spadaro, è “leggere la mia vita in termini di storie, e non certo di obiettivi e risultati. Puoi raggiungere risultati ragguardevoli e vivere una vita che è un totale disastro”.
Il libro di Spadaro comunque è soprattutto un saggio che ripercorre l’intera produzione di Carver, con un sistema di note che segnala i più interessanti interventi sulla sua opera, articoli e volumi pubblicati in particolar modo negli Stati Uniti. L’autore di Cattedrale e di Di cosa parliamo quando parliamo d’amore è considerato capace di raccontare di personaggi doloranti e ordinari, che appartengono a “un’umanità senza storia, ma protagonista di un’epica quotidiana impercettibile e misteriosa”. In Carver insomma “è presente un senso di grandiosità insondabile, pienamente incarnata all’interno del livello più elementare di vita”.
Se lo scritto di Spadaro appare meno efficace nell’analisi dei singoli racconti, dove lo studioso si dilunga nel dare conto di interpretazioni altrui piuttosto fantasiose, come quella di W. L. Stutt, professore di retorica ad Hatford, che a proposito di uno dei racconti più noti di Carver, Una piccola, buona cosa, suggerisce che “la storia riguarda i due sacramenti di base, Battesimo e Comunione”, per il resto emergono gli aspetti sostanziali della scrittura di Carver, il suo progressivo focalizzare la narrazione sull’attesa, come aspetto centrale dell’esistenza, la ricerca, quasi ossessiva, della parola giusta, il lavoro progressivo di revisione, la capacità di realizzare “una scrittura che si apposta nel quotidiano e lo spacca a metà”.
È interessante che Spadaro concentri la sua attenzione anche sull’opera poetica. Carver in effetti è considerato soprattutto un narratore, ma la sua produzione poetica ha avuto sempre un grande rilievo nel suo percorso di scrittore. Come ha scritto Daniela Matronola, l’opera di Carver “ci ha sempre chiamati da un luogo preciso. Da lì abbiamo ricevuto nel tempo un segnale forte e sporco. Nulla di inesatto, ma anche nulla di estetico”. Il segnale che viene dalla poesia è sicuramente altrettanto forte di quello che ci raggiunge dalla prosa, forse meno sporco, ma sicuramente essenziale, nulla di inesatto e nulla che vuole essere estetico.
L’opera poetica completa di Raymond Carver è pubblicata da Minimum Fax (Orientarsi con le stelle, con traduzioni di Riccardo Duranti e Francesco Durante). Nella poesia La pipa si legge:
La prossima poesia che scriverò avrà legna da ardere
Proprio al centro, legna da ardere così intrisa
Di resina che il mio amico si lascerà dietro
I guanti e mi dirà: «Mettiti questi quando
Maneggerai questa cosa». La prossima poesia
Avrà dentro anche la notte e tutte le stelle
Dell’emisfero occidentale; e un’immensa massa
D’acqua scintillante per miglia sotto la luna nuova.
Ecco, c’è sempre bisogno di un paio di guanti per maneggiare le parole di Carver. Un paio di guanti e tutte le stelle dell’emisfero occidentale.