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La poesia non si vende

Wisława Szymborska
La poesia non si vende. Sembra non sia possibile cominciare un discorso sulla poesia prescindendo da questa affermazione. Lo fa oggi su Repubblica Walter Siti, ricordando, proprio ad inizio di articolo, che “la poesia è un’aria depressa”. Pochi gli editori che se ne occupino, e di solito evitando l’impegno di un’accettabile distribuzione, pochi i lettori. Resta però da capire quali delle due povertà sia conseguenza dell’altra.
Siti annuncia che ogni domenica per un anno sulle pagine dello stesso quotidiano rileggerà un classico della poesia lirica. Operazione benemerita, ma che probabilmente non servirà a niente. Perché, come del resto dice lo stesso autore di Resistere non serve a niente (appunto!), gli unici libri di poesia che danno buoni esiti editoriali sono da ricercarsi tra i classici, in particolare tra i poeti più celebrati del secolo scorso. Cioè in buona parte tra gli autori che saranno interessati dal progetto di Siti. Del resto, qualche anno fa lo stesso quotidiano mise in vendita, insieme al giornale, una serie di libri di poesia (partendo, se non ricordo male, da Neruda, ovviamente, Garcia Lorca e Montale). Va da sé che all’interno del quotidiano, anche in quel periodo, era difficile leggere la recensione di un libro di poesia di un autore contemporaneo. Insomma, mi impegno nella diffusione della poesia, basta non sia quella che si scrive oggi.
Walter Siti
La poesia non si vende, ma è pur vero che manca da decenni una seria politica editoriale in proposito. L’impressione è che le collane di poesia, sempre più sparute, dagli editori maggiori siano considerate quasi un obbligo morale o la modalità di contropartita di qualche vantaggio realizzato in altro settore, per cui inutile investirci più di tanto; dagli editori minori siano vissute come un ripiego, un mezzo di sopravvivenza, un luogo, come dice Siti, “dove i poeti se la cantano e se la suonano”.
La poesia non si vende, ma su di essa si investe poco, quasi niente. Eppure basta che Saviano una sera legga la Szymborska in prima serata e le traduzioni italiane della poetessa polacca balzano in classifica a fianco dei soliti Camilleri e Fabio Volo.
Dice Siti che “il pop e il rock hanno raccolto il bisogno inesauribile di musica verbale, di rimare e ritmare le emozioni”. Se questo bisogno è inesauribile, sarebbe necessario capire se ancora qualcuno tra coloro che scrivono poesie sia in grado ancora di rappresentarlo. Chi è tra i poeti italiani che ancora sa parlare ai lettori, che è capace di interpretare l’urgenza di una parola che sappia dire anche musicalmente? La risposta dovrebbero fornirla gli editori, i critici, gli organi di informazione.

 

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