In una classe prima del liceo linguistico in cui insegno cominciamo a parlare del linguaggio della poesia. Per avviare una riflessione, leggo Il fanciullo e l’averla di Umberto Saba. La classe fin dall’inizio dell’anno non si è mostrata particolarmente reattiva e, in questi giorni di maggio, appare un po’ stordita, intimorita anche. Come dice Alice, che degli altri alunni è un po’ la portavoce, alcuni ragazzi vivono le ore di lezione in una condizione di spaesamento. Leggo Saba insomma e i ventiquattro timorosi studenti reagiscono con inaspettata vitalità. Mani alzate, gli occhi che seguono i pensieri, considerazioni brillanti. Non sembrano gli stessi dell’altro giorno, della settimana scorsa, di un mese fa.
Mi chiedo cosa sia successo e mi attribuisco in parte la colpa del torpore precedente. A contatto con la poesia di Saba il mio entusiasmo è cresciuto e di conseguenza anche quello di chi è costretto a seguire i miei ragionamenti. E poi forse, azzardo, andare a scovare le figure retoriche del significante e del significato ai ragazzi sembra un gioco, al quale dunque aderiscono con piacere.
Ma c’è dell’altro. Gli alunni infatti, di fronte a quel loro coetaneo e alla sua averla, agiscono in maniera diversa, si muovono contenti, comprendendo più o meno coscientemente che i versi di Saba stanno parlando proprio a loro e anche un po’ di loro. Insomma il merito più grande di quanto accade è proprio dell’averla, l’uccello passeriforme che il fanciullo vuole per sé, ma poi che “l’ebbe (…) all’istante l’obliò”. Chi scuote la giornata altrimenti sonnolenta dei miei alunni è l’uccellino che resta confinato nella sua gabbia e piange solo e in silenzio “del cielo / lontano irraggiungibile alla vista”, finché un giorno il fanciullo si ricorda di lui e vuole stringerlo in pugno, ma quello allora si ribella e vola via. Da quel giorno il ragazzo “per quel male l’amò senza ritorno”.
Cosa è dunque successo perché l’apologo sia arrivato così direttamente ai cuori dei giovani studenti? In quale personaggio si sono identificati gli alunni di questa prima liceo? Nel fanciullo, che scopre l’amore solo quando il piccolo uccello non c’è più, o nell’averla, che trova finalmente la libertà?
Una risposta non c’è. Ci sono solo gli sguardi adolescenti che rincorrono l’averla, che svolazza tra i banchi, si posa per un attimo sulla spalla di una ragazza, e poi infila la finestra e, come direbbe il poeta, s’invola. Vola leggera sfiorando i rami degli alberi del bel giardino che risplende oltre la finestra, verso il quale troppo raramente guardiamo.