Un tratto ricorrente nei versi di Anna Elisa De Gregorio, raccolti nel volume Un punto di biacca, recentemente edito da La Vita Felice, è dato da una sottile vena di melanconia che pervade le liriche, che pare alimentata dalla ricerca di una ragione che possa dare conto del principio che muove gli avvenimenti terreni e la nostra presenza tra le cose, nella consapevolezza che ogni spiegazione che offra indubitabili certezze è palesemente impossibile e che dunque la nostra vicenda di uomini è sempre segnata dall’assenza, dalla ricerca dell’anello che manca, e che forse risulterebbe risolutivo, dalla confusa bellezza in cui sono disposte le tessere.
Pure di fronte all’accertamento di questo limite, la voce della De Gregorio continua piana e rassicurante a raccontare, a volte a disegnare, il mondo, spesso facendosi attrarre dai piccoli eventi e dalle contraddizioni che lo caratterizzano, che servono, se non a spiegare la storia, almeno a dirci che in questa incertezza viviamo e che essa ha, in fin dei conti, qualcosa di prodigioso.
Nella prima sezione del libro, Svelature, ogni lirica porta in calce l’autore e il nome dell’opera d’arte che l’ha ispirata. All’autrice dei versi non interessa illustrare o commentare, ma seguire un proprio cammino, passare attraverso un varco, spesso assolutamente periferico, che può fare intravedere un destino o suggerire, anche in questo caso, che la verità passa sempre accanto alla vita, senza però mai offrire una motivazione decisiva. Si tratta insomma di svelare appunto, ma anche di constatare che un velo impedisce pur sempre una perfetta visuale. Del resto la velatura, nell’arte pittorica, è proprio quella tecnica che consiste nel coprire con uno strato più leggero il colore già asciutto, in modo da determinare particolari effetti e trasparenze. Accostandosi ad esempio alla miniatura Très riches heures du Duc de Berry, esposta nel Musée Condé di Chantilly, e assistendo allo sfarzo dell’ambiente ai “preziosi lapislazzuli / sull’abito del duca e dei compari”, la De Gregorio così coclude la poesia: “Come in ogni altra notte, / fuori morte e miseria: / né morte, né miseria / all’apparenza sfiorano il signore. // Ma sarà l’ultimo suo capodanno: / fino al castello arriverà la peste. / Chi vede il cuore oscuro del futuro? / Solo chi sa rappresentare storie”.
La realtà ha sempre, in queste poesie, un altro suo lato da mostrare, che non è per forza un lato oscuro, anzi è spesso altrettanto palese, ma bisogna disporsi a guardare alle cose a partire da un diverso punto di vista, che offre spunto per una nuova significazione. In questo senso i titoli delle quattro sezioni di cui si compone il libro risultano rivelatori: oltre alle Svelature di cui si è detto, essi sono Sconcerti, Spunti di vista, Spartenze.
Nel caso dell’ultima sezione, le Spartenze a cui ci si riferisce rimandano ai dialetti meridionali, dove il termine sta indicare la divisione, l’atto dello spartire appunto, ma è chiaro che al lettore il termine non può che comunicare anche l’idea della mancata partenza. Così una sequenza di poesie contenuta in questa sezione può chiamarsi Vietato oltrepassare la linea gialla e due delle liriche fare riferimento alla stazione di Bologna e alla memoria della strage che al suo interno venne compiuta. Il passato e il presente si mescolano e il punto di vista sull’insieme, che improvvisamente ha uno scarto, serve a scoprire, ma anche a rivelare la presenza di un insondabile segreto: “Si inciampa sulle morti / rimaste tra i binari: / stanno per sempre attonite, / per sempre senza pace. / Ma la stazione spinge / a coincidenze di ore / e qui la vita corre, / corre più che altrove. // Resta come un rimorso / la lapide in memoria / nella sala d’aspetto, / alloggio di fortuna / per i senza biglietto, / quelli dei cappotti / al posto dei pigiami, / che arrivano sul tardi”.
Anna Elisa De Gregorio è nata a Siena e vive ad Ancona dal 1959. Il suo primo libro di poesia, Le Rondini di Manet, arriva solo nel 2010. Al suo attivo anche una plaquette in dialetto anconetano, Corde de tempo.
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