Durante la prima guerra mondiale, come forse mai era accaduto in precedenti conflitti, i soldati avvertirono se stessi come uomini piccoli e smarriti, alla ricerca di un’umanità che sentivano persa per sempre. La loro lotta, prima ancora che contro un nemico del quale sapevano poco e che certo non avevano ragione di odiare, si svolse innanzitutto contro le avverse e terribili condizioni naturali, le enormi montagne, il freddo dell’alta quota, le nevi che sembravano non volersi mai sciogliere, il fango delle trincee, il caldo opprimente dell’estate. Ai terribili nuovi armamenti si rispondeva con strumenti di difesa assolutamente inadeguati. Il conflitto venne combattuto innanzitutto contro la propria fragilità di uomini. Anche per questo la Grande Guerra è stata oggetto di riflessione di tanti tra narratori e poeti.
La vana e coraggiosa fatica dei singoli chiamati a lottare contro forze più grandi di loro è oggetto della breve e intensa raccolta poetica di Giuseppe Langella, spinto all’impresa dalla consuetudine con i luoghi che furono teatro di alcuni tra i più drammatici eventi della guerra e sollecitato dall’incontro con l’artista camuno Edoardo Nonelli, autore della scultura Croce, realizzata assemblando reperti bellici, a volte anche solo frammenti, dotati comunque di grande suggestione, recuperati sulle pendici dell’Adamello, dove vennero scavate trincee e dove i soldati furono chiamati a sforzi sovrumani.
In Reliquiario della grande tribolazione, pubblicato da Interlinea, Langella opera allo stesso modo di Nonelli, partendo appunto dalle reliquie, dai ritrovamenti minimi qui soltanto evocati, e ricostruendo, a partire da quelle antiche tracce, le condizioni miserevoli di quanti si trovarono, a volte provenienti da regioni lontane, a combattere il conflitto. Lo sguardo del poeta è pietoso e partecipe, la sua voce si veste di un tono religioso, peraltro richiamato già dal titolo della raccolta, che non può che riportare anche ai versi di Ungaretti e in particolare alla poesia I fiumi, dove il soldato-poeta dichiara di essersi disteso nell’Isonzo come “in un’urna d’acqua” e di aver riposato “come una reliquia”.
A differenza di Ungaretti, pure citato in esergo della sezione Stazioni (che rappresentano le fermate di una dolorosa e crudele via crucis), Langella sceglie per le sue poesie una cadenza di carattere popolare, segnata dalle rime, anche baciate, come avviene nella lirica che apre il libro, dal titolo appunto Reliquie. Langella assume punto di vista e sofferenza degli sconfitti, e in questa guerra sono sconfitti tutti, anche coloro che potranno dirsi salvi e tornare alle proprie case, ma può farlo solo dalla distanza dei cento anni che sono trascorsi dal conflitto, può farlo guardando e facendo parlare i resti che la guerra ha lasciato sul terreno e che la natura, a distanza di anni, restituisce: sono “assiti, pioli, stanghe, tavolacci, / cui il tempo, l’aria, i ghiacci, / hanno impresso il colore delle ceneri”. Le reliquie contengono la traccia, la lontana presenza, di quelle vite che la guerra segnò per sempre, che vengono anche richiamate dai suoni stessi delle parole, dal timbro spietato e popolare, che sembra ricordare i canti che accompagnavano le marce e le attese dei soldati: “Casematte, cunicoli, tettoie / divelte, feritoie, / schegge, cassette, lamiere ritorte, / ostaggi della sorte; / carrucole, funi, reticolati, / sbarre, ferri incrostati / di ruggine, scheletri di baracche, / ghirbe, taniche, sacche: / di tanti alpini, delle loro gesta, / è tutto quello che resta”.
Giuseppe Langella, che a Milano insegna Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università Cattolica ed ha esordito in volume nel 2003 presso San Marco dei Giustiniani con la raccolta Giorno e notte. Piccolo cantico d’amore, è poeta colto che comunque sa rinunciare alle asprezze del dettato per aderire, come in questo caso, alla materia trattata, per farla diventare esperienza comune.
I resti di lamiere e legno, dei reticolati, i brandelli di stoffa, scandiscono un percorso, che nel volume è segnato in parallelo dalla riproposizione di disegni e litografie in gran parte realizzati proprio dai soldati che combatterono nel corso della Grande Guerra. E’ un percorso in cui si rappresenta la condizione di sofferenza e fragilità degli uomini, il continuo dialogo tra vita e morte che di nuovo emerge dai reperti che sembrano ancora avere impressi i segni di quei destini: “O legno centenario, / arso dal sole, scavato dai venti, / tutto costole e solchi, schegge e fori, / midollo che si spacca dai dolori, / fosti fasciame che scalda e ripara, / buono per la baracca e per la bara”.
Pubblicato sul quotidiano online Succedeoggi.it