Prove di lontananza di Alessandro Quattrone è un libro molto denso, anzi sembrano convivere al suo interno due o tre raccolte, con la prima parte, che appunto dà il titolo al volume e si divide in tre sezioni, estremamente compatta nel tono e nel procedere del significato, quasi a costruire con un unico fiato una lunga sequenza poetica. Attraverso il linguaggio sempre controllato e la cura formale che non lascia spazio a scarti o fughe, ma che in ciascuna lirica si addensa attorno a poche e nitide immagini, emerge l’idea che la parola poetica sia in grado, non di spiegare il mondo e forse nemmeno di raccontarlo lucidamente, ma di metterne in evidenza gli umori segreti, i piccoli sbandamenti, la grazia nascosta degli incontri e le inaspettate relazioni che nascono tra le cose. La parola può esporre, ed esporsi al tumulto della scoperta, solo per supposizioni, per cauti avanzamenti.
Nella prima parte la prevalenza di figure retoriche che producono un trasferimento del significato determinano un continuo scivolamento metamorfico del corpo femminile, destinato dunque ad introiettare contenuti e ad assumere forme diverse, spesso provenienti dal mondo naturale. Lo scorrere del tempo, il succedersi delle stagioni, le condizioni climatiche lasciano tracce sul corpo e sembrano quasi modellarlo. La figura femminile che è protagonista delle liriche (ma le Prove a cui si riferisce il titolo sono piuttosto di pertinenza dell’io lirico), riprendendo in qualche modo un modello montaliano, è insieme smarrita e fatale, nel senso proprio che è colei che può contenere e dare vita a un destino, arriva da luoghi meravigliosi dove può manifestarsi il prodigio dell’esistenza (“l’isola segreta nell’oceano”, “chiusi paradisi senza luce”, con un doppio ossimoro che rende evidente l’impossibilità di un approdo risolutivo, che appare comunque l’inevitabile meta di ogni percorso, o se si vuole di ogni prova). Sono luoghi né vicini né lontani, anzi occupano più uno spazio interiore che fisico, ma rappresentano idealmente la lontananza a cui la donna sempre fa ritorno. Le Prove in questo senso delineano una sorta di viaggio verso l’Altro, e pervengono comunque alla consapevolezza che l’Altro è scoperta ma anche scomparsa, è il tramite attraverso il quale l’io si conosce ma anche si allontana da se stesso.
Nella sezione Genius Loci invece la poesia si confronta con luoghi fisicamente determinati: sono piazze, palazzi, ville, laghi, fiumi, che la parola poetica isola dal loro contesto e mette a fuoco. Ma la realtà, che pure si mostra senza indugio in tutta la sua armonia e bellezza, nasconde insidie e misteri, ha dei cedimenti, o meglio mette il visitatore di fronte alla propria fragilità. Così al cospetto di una villa che “domina con il suo chiaro / pensiero chiuso tra foglie e sospiri”, il viandante è colto dai suoi deliri e non riceve dalla realtà che gli si presenta davanti agli occhi nessuna parola di conforto: “All’improvviso è un cedere a ogni passo, / un chiedere al biancore delle statue / l’origine del puro e dell’impuro, / il termine dell’eros, mentre gela / sul muro l’ombra nobile del nulla”.
Anche in Feste mancate prevale il rapporto con una realtà che viene descritta per istantanee, ma che è il luogo del non accaduto, del gesto frantumato o comunque non realizzato, dell’illusione. Le montagne chiedono un omaggio e “mi invitano a salire, a salire, / a trovare il limite ignoto”, ma malgrado il faticoso tentativo, “poi con il ruscello torno indietro”. Il finale della poesia segna anche il termine dell’inganno: “Ed eccomi a casa, ben presto, / nella piccola stanza che invano / mi rende maestoso”.
Accade così che ogni lontananza sia necessaria ma abbia bisogno a sua volta anche della fase del ritorno, del riconfermato approdo verso luoghi vicini. Il viaggio si conclude nella protezione, insieme conquista e fallimento, della “piccola stanza”, nell’hortus conclusus di tanta tradizione letteraria.
Quattrone costruisce questo moderno canzoniere con estrema perizia stilistica, consapevolmente traducendo il conflitto interiore e lo smarrimento a cui la realtà obbliga, i continui scarti tra vicino e lontano, in una lingua piana e armonica, che vorrebbe essere rassicurante proprio quando si muove sui terreni più infidi e scivolosi.
(Pubblicato su La Recherche.it)