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da Il mondo che farà

Un certo giorno uno camminando
per una strada che non riconosce
o nell’attesa di un treno alla stazione
in leggero ritardo o all’improvviso
rimasto frastornato senza mira
davanti a una vetrina e non sa
che cosa stia a guardare, percepisce
senza cura il destino, che la vita
più non funziona che per struggimento,
per insolvenza. Gli altri vanno dritti
e lui scantona ed abbandona il gruppo,
elimina le chat, senza parole
rimangono le immagini, lui aspetta
che il mondo che farà venga a soccorso,
ma non è detto arrivi puntuale,
perché in aiuto può venire il mondo
solo con frasi esatte, prima e dopo
rimessi in fila con conteggio certo,
gli orari in evidenza in calendario,
il caso che è convinto in correttezza,
non più la confusione degli istanti,
ma un’ora dopo l’altra in successione.
Lui aspetta un nuovo tempo non più pioggia,
i temporali, acciacchi, altri malanni,
ma vento che rischiari il paesaggio.

 

 

La vita certe volte sfila accanto,
per proprio conto prende strade incerte,
spesso in salita, chiedo dove vai,
dove vai vita, nell’inseguimento
ho il fiato corto, forse non mi sente,
mentre io arranco lei viaggia spedita
ed incosciente, io non me la sento
di starle dietro, quella non si pente
e corre all’impazzata, più c’è gente
più provoca sfacciata e impenitente.
Ma poi penso mi fermo, quelle volte
che mi tormenta, tanto che ci faccio
con tutta questa vita, mi addormento
se lei corre di lato, o faccio finta
che sono assente e non è mia la vita.

 

 

Se il giallo si confonde e non conclude
la sua testimonianza, allora invecchia
il corpo spento, avverte che l’attesa
è una fermata in bilico sul nulla.
Quando poi la marcia è consentita
e il verde si profonde in cerimonie
e partiamo all’assalto, consumato
è il terreno, vediamo il precipizio
ad ogni passo, speriamo in una sosta
più duratura al prossimo passaggio,
che il giallo ci conservi nell’indugio,
l’incertezza ci liberi dal viaggio.

 

 

Quando il treno rallenta e nel tremore
della carrozza si alzano gli sguardi
finalmente sospesi e negligenti,
allora certe volte di lontano
una casa un giardino un punto morto
nel mezzo di una strada ci reclama
e ci interpella: forse il nostro bene,
la pienezza del vivere, il sorriso
è un edificio che non rivedremo,
località diversa e consumata
in un paesaggio che scompare in fretta,
che si riduce a niente, lampadina
su un tavolo di casa, una ragazza
che ritorna veloce in bicicletta.

 

 

 

Che il mondo pur avendo accumulato
anni su anni, non sia mai esistito
è teoria nemmeno tanto insana
di pensatori in cerca dell’idea
risolutiva, o in vena di minacce,
o chissà forse di consolatorie
erudizioni: siamo tutto e nulla,
o meglio da un bel po’ noi non viviamo,
da quando siamo nati, e non sappiamo
che non siamo esistiti. Il mondo è niente,
nemmeno le macerie, non c’è aria,
manca di tutto, sarebbe già qualcosa
la polvere, allora me ne vado,
ma in quale luogo, se non c’è esistenza
non c’è nessun approdo, resto fermo,
e immobile mi sento quasi eterno,
se non esisto sono anch’io nel niente,
però per sempre io non sono vero,
eterno e falso, un costante zero.

 

 

Preghiera (a M.)

Ave, Marilyn, piena di tua grazia
e di mestizia, splendida tra tutte
le donne e maledetta, unica dea
che compare nei sogni degli umani
in gonne sollevate dalla furia
dei fiati sotterranei, metropolitani
riprovevoli abissi, e reggiseni
di linde trasparenze, et benedictus
tuo seno senza gioia solo sfiorato
dall’amore di mani, da milioni
d’insaziabili occhi, e preservato
da morte, sempre uguale nei secoli
dei secoli, lo sguardo che non muore
affatturato, avvocata nostra,
inerme tu, sprovvista di difesa,
da noi invocata, come noi esclusa
dal paradiso, sei senza peccato
senza letizia: nell’eternità
la biondissima aureola sfolgorante
ci faccia luce e la luce illuda
che sia senza vecchiaia l’aldilà.
Prega per noi che abbiamo tanto errato
con l’animo vagante e intrappolato
da sempre in cerca, come tu hai cercato
senza riposo il frutto immacolato,
ora pro nobis, se tu sai implorare
e se puoi farlo dalla tua dimora
prega per noi che ti desideriamo
per non averti mai, nunc et in hora.

 

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