Cosa faccio leggere ai miei alunni? La domanda si ripropone ad ogni inizio d’anno scolastico. Ogni volta, non so fornire una risposta che risulti pienamente soddisfacente. Vorrei qualcosa di nuovo, che sappia far capire ai giovani lettori, senza immiserirli, che la letteratura non è solo roba di secoli fa, che parla anche a loro, ad ognuno di loro. Mi sforzo, credetemi, penso e ripenso, chiedo consiglio. Ci metto tutto l’impegno. Ma sulla scelta presto incombe lo spettro di Alessandro Manzoni. Il suo romanzo l’abbiamo letto tutti tra i banchi di scuola, nei cui programmi entra di prepotenza addirittura già negli anni Ottanta dell’Ottocento. Le ragioni del successo scolastico sono chiare: I promessi sposi è opera utile per affinare lessico e sintassi e risulta un insieme pedagogico di rara potenza: patriottismo, storia, valori religiosi e morali, considerazioni sui rapporti di forza nella società, personaggi buoni e cattivi su cui proporre sermoni edificanti, ecc. Insomma già alla fine del XIX secolo il romanzo del lombardo irrompe sulle caute mattinate scolastiche (insieme a Cuore di De Amicis, adatto ai più piccoli e che resiste però solo fino alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso) per non più abbandonarle.
Deve essere per questo che Manzoni popola i miei incubi di insegnante. Appena penso a un romanzo da far leggere al biennio delle superiori (che so, per non allontanarmi troppo dal repertorio storico, potre provare con La Storia di Elsa Morante o Metello di Pratolini, Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, o addirittura Sostiene Pereira di Tabucchi) ecco presentarsi lo spettro, accompagnato da una schiera inquieta di anime di insegnanti a spiegarmi che senza quella lettura (“tagli pure qualcosa, la capisco” mi rassicura il padre del romanzo italiano) contribuirò a formare alunni disadattati e insolenti, che non sono cresciuti animati da buoni propositi perché non si sono emozionati per le lacrime di Lucia o per la conversione dell’Innominato, non hanno avuto modo di considerare quanto sia grande la misericordia di Dio, né hanno gioito, sia pure con qualche esitazione, mentre don Rodrigo sul letto di morte cerca inutilmente di richiamare al capezzale i suoi servitori. E che dire di don Abbondio? Come fa un ragazzino di quindici anni a non riflettere almeno una volta sul paragone del vaso di terracotta che viaggia in compagnia di molti vasi di ferro?
Lo spettro arringa con toni severi. Le anime degli insegnanti (del purgatorio? ma mi sembra di riconoscere qualche professoressa ancora in vita) mi squadrano con sguardi truci. Una prof bassina, pallida quanto basta alle circostanze, mi aggredisce: “E chi è poi questo Tabucchi? Avesse almeno detto D’Annunzio!”. Io cerco di difendermi: solo per quest’anno, dico a testa bassa, per provare, poi tanto lo so che dovrò fare marcia indietro, assalito dai sensi di colpa e dalla collera dei colleghi. Loro mi guardano sgomenti. Manzoni scuote il testone: non approva.
Io la mattina dopo entro in classe e dico subito ai ragazzi, così mi tolgo il peso, di portare per la prossima lezione una copia de I promessi sposi. “Ma ci aveva detto – azzarda la biondina al primo banco – che avremmo letto altro”. “I promessi sposi bisogna conoscerli” dico io convinto. “Ma non sono nell’elenco dei libri di testo” si sente sussurrare dai banchi di fondo”. “Non importa – concludo – a casa vostra o dei vostri nonni ce ne sarà sicuramente una copia”.