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Lettori in biblioteca

Non so dire cosa succeda nel privato delle case, in salotti e camere da letto. E’ certo però che in pubblico gli italiani leggono poco. Non ci sono libri nelle loro mani quando vanno o tornano dal lavoro su treni e mezzi pubblici, o mentre si riposano sulle panchine dei parchi, o al bar davanti al caffè o al bicchiere di vino. Basta salire sulla metropolitana in una capitale di un paese straniero per notare la differenza: lì tanti libri, da noi tanti cellulari.
Da noi si legge per studiare. Nella città dove vivo la biblioteca di concezione moderna e avveniristica, di recente costruzione, è frequentata da tanti giovani. Rimangono seduti agli ampi tavoli, concentrati davanti ai loro libri. Stanno studiando. Quelli che leggono con tanta attenzione sono libri universitari, manuali scolastici, volumi di critica scritti dal professore che li esaminerà. Nessuno divora con gli occhi i capitoli di un romanzo, nessuno ha tra le mani un libro di poesia.
In effetti sono stati condotti a questo insano rapporto con i libri da una scuola dove non si legge un’opera letteraria, ma la si studia. Non leggiamo la Commedia, ad esempio, ma le montagne di note che ne spiegano il significato. Conosciamo solo dieci poesie di Myricae, ma sappiamo quante edizioni della raccolta sono state pubblicate, in quale giardino di quale casa di Pascoli alzavano i loro rami verso la luna “il mandorlo e il melo”. Del diario di Zeno, coscienzioso e sconclusionato, abbiamo letto qualche riga, appena sufficiente a costruirci sopra una montagna di teorie, la scoperta che ne fece Montale, il rapporto dell’autore con la psicoanalisi.
Sappiamo essere critici, ma non lettori. Così il libro diventa un oggetto utile per un evento specifico, una prova d’esame appunto, un concorso, le interrogazioni negli anni delle scuole superiori. Del piacere di leggere nessuna traccia. Il libro deve essere vivisezionato, un capitolo ridotto in sequenze, una vicenda riassunta e dunque imbrattata e imbarbarita.
Non si legge, perché non si vede leggere, perché ci sembra che leggere sia sinonimo di studiare, che un libro abbia sempre bisogno di note per essere compreso.  

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