Antonio Prete, nel presentare al Gabinetto Vieusseux di Firenze una nuova edizione tematica dello Zibaldone leopardiano, condotta sugli indici del poeta e amorevolmente curata da Fabiana Cacciapuoti per l’editore Donzelli, ricorda una lettera al giovane Charles Lebreton, scritta da Napoli nel giugno del 1836. Precisa affettuosamente Leopardi al diciottenne allievo di De Sinner, che malgré le titre magnifique d’opere que mon libraire a cru devoir donner à son recueil, je n’ai jamais fait d’ouvrage, j’ai fait seulement des essais en comptant toujours préluder.
L’editore in questione è Saverio Starita, poi costretto a interrompere la pubblicazione delle Opere al secondo volume per problemi con la censura. E’ singolare e di grande rilevanza che il poeta recanatese pensi alla sua produzione in versi e in prosa, che a quel punto della sua vita, a un anno esatto dalla morte, già contiene quasi tutto quello che noi conosciamo, come a qualcosa di incompiuto, anzi come a degli assaggi, nella speranza che essa possa essere preludio di qualcosa evidentemente ancora da scrivere.
Prete ha sottolineato come si tratti di un’affermazione che contiene una concezione assolutamente moderna dell’opera d’arte. Leopardi sembra dire che chi scrive deve fare i conti con l’impossibilità di dire qualcosa di definitivo, di sentire risolto il suo percorso di autore. Nell’Ottocento che crede fortemente che ogni opera debba possedere caratteri di compiutezza e di realizzazione, si tratta di una dichiarazione, verrebbe da dire “di poetica”, originale e moderna, che solo nel secolo successivo sarà messa in atto e interamente compresa.
Leopardi non solo sta dicendo che nessun libro è mai veramente finito, con buona pace di mon libraire e di tutti gli altri editori, ma che ogni scritto si pone sempre nella necessità di essere preludio ad un’opera successiva, e nulla dunque, nell’arte come nella vita, potrà mai dirsi veramente concluso. Questa consapevolezza dell’incompiutezza del lavoro artistico trova la sua definizione più lucida proprio nello Zibaldone che è testo non terminato per definizione, opera incessantemente in divenire, componibile secondo sistemi e criteri diversi, e che dunque contiene più opere, pur a partire dagli stessi scritti.
E’ l’annuncio, e forse anche il superamento, del Novecento: del Canzoniere di Saba che si propone come libro in costruzione continua, della Coscienza arrovellata e frammentata che Svevo attribuisce al suo Zeno e che mai riesce a definirsi in contorni certi, dei romanzi sempre incompiuti di Gadda, perché in effetti è la realtà a non completarsi mai. Ma forse Leopardi ci dice anche, nella sua lettera a Lebreton, cosa può essere la scrittura ai tempi di internet, un preludio errante nel mare del web, un blog a cui si aggiunge sempre un ulteriore assaggio, la necessaria incompiutezza di ogni testo, affidata al vago mondo degli internauti.