Spesso le parole nella poesia seguono un loro percorso autonomo, quasi che le scelte lessicali fossero indipendenti dalla volontà di chi scrive. Si attraggono, si sistemano in una posizione a loro conveniente, in un ordine che non potrebbe risultare diverso, e che pure non è suggerito da nessuna spinta che sia unicamente razionale. O al contrario si respingono: semmai solo in quell’occasione e in quel verso ci dicono che non possono stare insieme, non si sopportano, malgrado nulla, nessuna regola grammaticale o sintattica, ne impedisca la convivenza. E’ anche per questo che parte del significato della poesia sfugge a chi ne è l’autore, che è perciò costretto a porsi dinanzi al proprio testo con lo stesso margine di inconsapevolezza e di curiosità di ogni altro lettore.
Le parole si impongono attraverso una loro fisicità, sono quelle e solo quelle e solo in quella determinata posizione a essere giuste, anche se non ci è chiaro perché non siano rimpiazzabili né perché non possa essere modificata la loro posizione.
Scrive Giovanni Giudici in quel volumetto davvero straordinario che è Andare in Cina a piedi: “Ci sono situazioni del discorso poetico in cui l’uso di certe parole o espressioni si rivela del tutto fuori luogo; e questo non per una qualche regola formulata, fissata e dunque apprendibile, ma per altre e più profonde ragioni di sostanza che toccano l’intima natura della lingua, la sua fisiologia, i suoi interni equilibri”.
Tutto ciò è vero soprattutto per le rime. Una parola in rima è capace di suggerire un tragitto inaspettato, una nuova meta. Eravamo diretti in una direzione e la rima ci fa curvare, ci porta in un altro verso.
Ecco Leopardi nello Zibaldone: “Ne’ versi rimati, per quanto la rima paia spontanea, e sia lungi dal parere stiracchiata, possiamo dire per esperienza di chi compone, che il concetto è mezzo del poeta, mezzo della rima, e talvolta un terzo di quello, e due di questa, talvolta tutto della sola rima. Ma ben pochi son quelli che appartengono interamente al solo poeta, quantunque non paiano stentati, anzi nati dalla cosa”.
Negli ultimi decenni la poesia ha rinunciato di fatto alla rima. I poeti vogliono forse pieno controllo anche su quella mezza parte del significato che sarebbe, come assicura Leopardi, di pertinenza della rima stessa. In questo modo però viene meno quella possibilità di dirottamento che porta verso inaspettati punti d’arrivo.