La terra di Mahmud Darwish

Mahmud Darwish è considerato il maggiore poeta palestinese e uno dei più grandi rappresentanti della letteratura moderna in lingua araba. Era nato nel 1941 in un villaggio dell’alta Galilea, al-Birweh, poi distrutto a seguito della costituzione dello stato di Israele nel 1948. La sua famiglia fu costretta a fuggire in Libano, per poi rientrare clandestinamente in patria l’anno successivo. Da giovane, Darwish dovette affrontare gli arresti domiciliari e la reclusione per il suo attivismo politico e per aver letto pubblicamente le sue poesie. Successivamente, non avendo il permesso di vivere in patria, per ventisei anni, fino al 1996, anno del suo rientro in Palestina, visse in esilio tra Mosca, Egitto, Libano,Tunisia e Parigi. Il poeta è morto a Houston (Texas) il 9 agosto 2008.

Mahmud Darwish ha pubblicato una trentina di raccolte di poesie e prose, tradotte in oltre venti lingue.

Ha scritto della sua opera Elias Sanbar: “Darwish non era ambasciatore del suo paese ma un poeta slegato dalla nazionalità e dal passaporto. Certamente la Palestina era il suo humus, la terra dove affondava le radici: la sua flora e la sua fauna, la sua musica e le sue nuvole, ma tutto questo non doveva essere il suo limite. Se parla di terra, quella terra è proprio la sua terra”.

Riporto di seguito la poesia Su questa terra, con una mia lettura del testo, tratta da La saggezza del condannato a morte e altre poesie (Emuse 2022), a cura di Tareq Aljabr. Traduzioni di Tareq Aljabr e Sana Darghmouni. Riadattamento dei testi poetici in italiano di Emiliano Cribari. Introduzione di Paolo Branca.

Su questa terra

Su questa terra hanno diritto alla vita:
il ritorno di aprile,
l’odore del pane all’alba,
le opinioni di una donna sugli uomini,
gli scritti di Eschilo,
l’inizio di un amore,
l’erba nata sopra una pietra,
le madri in piedi sul filo del flauto
la paura dei ricordi che invade gli invasori.

Su questa terra hanno diritto alla vita:
la fine di settembre,
una donna che saluta i quarant’anni
in tutto il suo splendore,
l’ora d’aria in una prigione,
le nuvole che imitano uno stormo di creature,
le grida di un popolo a coloro che sorridono alla morte,
la paura dei canti che assale i tiranni.

Su questa terra hanno diritto alla vita
la signora della terra,
la madre degli inizi e la madre di tutti i finali:
si chiamava Palestina, si chiama ancora Palestina.
Signora: io merito – perché sei la mia signora –
io merito la vita.

 

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