Scrive Massimo Recalcati in L’ora di lezione (Einaudi), da pochi giorni in libreria, che la liquefazione della Scuola ha generato la “patologia diffusa” di un iperattivismo, che si traduce in un modo di procedere eccitato e mortifero. “Prevale oggi un modello ipercognitivista che vorrebbe emanciparsi completamente da ogni preoccupazione valoriale, per rafforzare le competenze a risolvere i problemi piuttosto che a saperli porre”. Insomma la Scuola (Recalcati usa sempre la maiuscola per parlare dell’istituzione scolastica e credo giusto mantenere tale scelta) propone, in nome della “ideologia delle competenze” e di un apprendimento fondamentalmente scientista, un modello educativo dove “le teste funzionano come computer, come mappe cognitive che esigono un puntuale aggiornamento”. Ne deriva che, data la preoccupazione degli insegnanti di “caricare più files possibili”, l’importante sia la quantità dei dati immessi in circuito: in questo modo “il sapere si estende orizzontalmente e perde ogni verticalità”. Insomma “quello che inesorabilmente in questo modello viene meno è il rapporto del sapere con la vita”.
Il mondo della Scuola riparte, mostrando un corpo sempre più acciaccato, privo di forze, depresso in seguito alle continue frustrazioni, svilito da anni di proclami e di tentativi di riforma, accompagnati da un progressivo impoverimento delle risorse, conseguenza anche della disattenzione generale da parte del Paese e di chi lo governa. E’ vero però che la Scuola paradossalmente mostra un iperattivismo, una frenesia nel proporre contenuti, nel “caricare files”. Gli studenti di oggi (può sembrare strano, ma è proprio così) sono messi di fronte a un numero sicuramente maggiore di informazioni rispetto a quanto succedeva alle generazioni precedenti. Ma questi contenuti rimangono spesso fluttuanti, privi di ancoraggio, presto dimenticati o comunque non utili a stabilire un rapporto con la vita. Ha ragione ancora Recalcati, quando dice che “il principio di prestazione rende l’apprendimento una gara, una ‘corsa a ostacoli’, che non può dedicare tempo sufficiente alla riflessione critica”.
Tra le preoccupazioni più diffuse tra gli insegnanti c’è l’esigenza di portare a termine il programma, di imbottirlo di una quantità considerevole e burocraticamente accettabile di nozioni, di verificare in continuazione se poi tali nozioni siano giunte a destinazione, non cosa abbiano veramente prodotto. Il tempo per riflettere, per capire perché vale la pena dedicare le proprie giornate a studiare filosofia o scienze, esercitarsi in matematica o leggere Leopardi, è praticamente ridotto a nulla. Anche perché gli insegnanti vivono nella costante angoscia di “perdere tempo”.
Sta di fatto che negli ultimi anni viene considerato Tempo Perso (questa volta le maiuscole sono mie) tutto quel tempo che non sia finalizzato ad accumulare brandelli di conoscenze, di cui spesso manca il disegno che le tiene insieme, perché per realizzarlo bisogna prima immaginarlo e dunque c’è bisogno di fermarsi a pensare. Nella Scuola attuale il tempo deve servire a qualcosa, innanzitutto a mettere insieme informazioni, utili a diventare “competenze”, cioè cose che si devono saper fare, soprattutto al fine di realizzare se stessi attraverso un lavoro soddisfacente. Tutti i minuti e le ore che non concorrono a questo obiettivo rientrano inevitabilmente nella categoria del Tempo Perso.
La Scuola dovrebbe invece mostrare agli studenti il mondo, che non è solo quello del lavoro, anche perché poi loro possano provare a reinventarlo.
Forse perché questo accada, perché la Scuola sia in grado non solo di mostrare il mondo, ma di spingere i ragazzi a credere che esistano nuovi mondi, bisogna avere il coraggio di perdere tempo. Fermarsi e capire, rallentare e porsi delle domande, immaginare, sognare, fare emergere le individualità degli alunni, alimentare le loro curiosità. Potrebbe essere utile, a tale fine, promuovere incontri con scrittori, scienziati, filosofi, storici, critici dell’arte, artisti, con tutti coloro cioè che contribuiscono ogni giorno a immaginare il mondo.
E’ una perdita di tempo, si opporranno molti insegnanti, non ce la farò a finire il programma, mi mancano le ore per le verifiche. Allora, per tranquillizzare tanti professori, sarebbe bello se nella nuova riforma della scuola venisse istituzionalizzato il Tempo Perso, cioè tutti quei minuti che servono a riflettere, a chiedersi a cosa serve sapere, a costruire la propria immagine del mondo. Tutti gli insegnanti dovrebbero dimostrare di aver perso almeno qualche minuto della loro ora di lezione.
In questa Scuola riformata verrebbero istituiti corsi di aggiornamento sul Tempo Perso, che è il tempo necessario a pensare, dunque a rendersi conto che il sapere non può essere ridotto alla quantità di informazioni che si è in grado di recepire: è tempo economicamente inutile, perché non offre soluzioni, propone solo domande.
(pubblicato su succedeoggi.it)