di Franco Marcoaldi
Da un lato il tremore, la paura, un senso di inadeguatezza; dall´altro lo stupore davanti ai piccoli e grandi miracoli dell´esistenza: il passaggio fugace di una donna, una gatta intenta a lavarsi le zampette, un imprevisto taglio di luce. La poesia di Giuseppe Grattacaso, Confidenze da un luogo familiare, dichiara esplicitamente, in apertura, tutti i suoi debiti: Gozzano, Noventa, Sinisgalli. Ma poi prende una strada propria, che affonda nelle proprie mancanze, malinconie, inciampi. E li restituisce al lettore attraverso immagini nitide e condivise, comprensibili da tutti. Grattacaso fa sue le leggi “classiche” della poesia, innervandole in una realtà che gli risulta estranea. Perché ormai «vince chi urla, vince chi ti assale, /non c´è mistero, se tu resti afflitto /sottovoce cortese derelitto». Il tentativo di chiamarsi fuori è forte. Ma l´impersonale vitalità del mondo irrompe, quando meno te l´aspetti. E allora bisogna stare all´erta, essere pronti a cogliere quella rivelazione inattesa e magari dolorosa. Perché la poesia, come insegnava Wallace Stevens, è come «un fagiano che scompare dentro la boscaglia».
La Repubblica. 13 febbraio 2010