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da Confidenze da un luogo familiare

 

Le mie paure me le tengo care,
le conservo sott’olio, in salamoia, pronte
per l’uso, se ce ne sia bisogno. Non sono
sano, ma non voglio cura,
perché poi in fondo è meglio la paura
che un agire per sempre contraffatto,
un coraggio affannato
e senza requie. E mi conforto
se ogni mia paura
è paura con altri condivisa.
Lo vedi, dico, che c’era una ragione
per non restare contro sé a lottare,
meglio sostare con l’anima divisa
che averne mezza
sempre a battagliare.

 

***

 

Se ora nuoto meglio, con più stile,
se allungo il braccio ed accarezzo l’onda
e poi lo immergo, lo inclino verso il fondo
mentre l’altro mulina oltre la spalla,
a che mi serve se non ho più fiato
e dopo pochi metri il ritmo
sballa? Se trattengo la sfera con il piede,
scarto di lato e poi lancio la palla
che con certa parabola si stampa
sopra la fronte del compagno in area,
a che serve se arranco a centrocampo
appena alla metà del primo tempo
e m’affatica spingere le gambe
al tackle più deciso?
Perché finisce tutto così presto?
Ora che penso risposte intelligenti,
che so trovare il bandolo del filo
aggrovigliato, con perizia
assaporare il piatto,
perché non posso credere che inizia
solo da adesso solo per me il confronto?
Ora che sono finalmente pronto
e di certo capisco più di prima,
perché mi vedo destinato alla panchina?

 

***

 

Dovevo andare a cena e non l’ho fatto
con Tizio, forse era anche importante,
telefonare a Caio prima di sera,
forse domani, forse era una pena
ascoltarlo parlare di progetti
senza costrutto, a sentir lui perfetti,
forse domani, sentiamoci, d’accordo.
Ma con Sempronio che dovevo fare?
Intanto mangio e poi me lo ricordo.

 

***

 

Mangio non mangio forse addento solo
finocchi gratinati, un pomodoro,
o bietole lessate e cavolfiore,
ma se non mangio io non mi consolo,
divento triste per perdere tre etti,
allora è meglio un piatto di spaghetti
alle vongole, una parmigiana
di melanzane, il fiano di Avellino
servito fresco a riempire il mio bicchiere. Senza
sentire un sapore familiare, presto
mi stufo, mi arrendo alla bruttezza,
cambio colore, mi sento un vegetale.
Dovrei rinunciare alle passioni
per sembrare un uomo giudizioso, ma preferisco
essere animale, senza criterio
davanti a un vino rosso, ozioso.

 

***

 

Ma non era l’inverno? E’ primavera
con un caldo che già ti inumidisce
le ascelle, il glicine fiorisce,
le tartarughe a Bracchio vanno a spasso
nel giardino e Franco dell’incedere
lento loro inorgoglisce. Ma come
l’impermeabile è già fuori stagione?
il destino del maglione è in naftalina?
Non stiamo attenti e giù per questa china
finiamo presto in pasto dell’estate.
Andate andate, io resto col cappotto
pronto per l’uso, certo non ci lotto
con le stagioni, il ripetuto assedio
strugge e consuma, troppa frenesia
quel leva e metti, indossa un’altra pelle
ogni tre mesi. Mantenete il ritmo
voi se credete, io invece resto fermo:
tanto ritorna prima o poi l’inverno.

 

***

 

Le trattorie a Trieste dove ancora
friggono alici e il cameriere in bianco
ha il passo stento e stenta a ricordare
se sono sarde o alici, è in alto mare,
le trattorie a Trieste, non si sbaglia,
sono un rifugio, forse il fritto sbarra
l’accesso alla tempesta,
forse perché la poesia onesta
ha casa solo qui, tra queste
strade dove fa festa
il vento e non delude
la luna, madreperla tra le nubi.
I commensali sono gente oziosa,
aspettano qualcuno che non viene,
non viene mai, perché è solamente
prosa la vita, continuo girotondo,
mano per mano ma non ci conosciamo.
Parla la sposa al tavolo sul fondo
con un fantasma in veste da marito,
abita un mondo schivo ed infinito,
la cipria copre il tempo in qualche ruga,
da sé distante, da se stessa in fuga,
la sposa è nella rete, pesce, acciuga.

 

***

 

E le lucertole, disse l’amico
fermandosi per strada, le lucertole
non sono la mia infanzia, la tua infanzia?

 

***

 

Posso cantarti ancora ninna nanna.
Tenerti in braccio, dimmi che è permesso,
parliamone, giungiamo a un compromesso,
che il tempo sia solo per me condanna.

Declama invece tu, io sto qui zitto,
usami ancora questa cortesia,
continua a dire la stessa poesia,
verso su verso con un ritmo fitto.

Poesia a memoria del tempo dell’asilo.
Se mi addormento, tu conserva il filo.

 

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