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Il viso di Aznavour

“Je vous parle d’un temps / Que les moins de vingt ans / Ne peuvent pas connaitre”.
Comincia così una delle più note canzoni di Charles Aznavour. Quel tempo, che quelli che hanno meno di venti anni non possono conoscere, se lo è portato addosso per tutta la vita. Anche quando era giovane (ma quando può essere stato giovane uno con una faccia così?) gli vedevi stampato sul viso un mondo lontano, l’Armenia dei suoi genitori o chissà quale altro oriente, gli vedevi fare dei gesti, quei movimenti di mani e braccia durante i concerti, i passi avanti e indietro timidi e decisi sul palco, che venivano da danzatori di un mondo che noi, che una volta, chissà quando, abbiamo avuto meno di venti anni, non abbiamo potuto conoscere.
Aznavour, Chahnour Vaghinag Aznavourian come era davvero il suo nome da armeno, un nome anche questo che si perde nel passato, un nome come una cantilena roca, ha composto canzoni (circa milleduecento) che erano già tutte scritte nella sua faccia, nel corpo minuto, nell’espressione beffardamente disperata. Non è un caso che molti registi lo vollero nei loro film, che François Truffaut ne fece il protagonista di Tirez sur le pianiste, dove un Aznavour non ancora quarantenne suona in un piccolo locale, intrattiene gli avventori che gli prestano poca attenzione e nasconde nei suoi silenzi e nella sua timidezza un passato di concertista, una carriera terminata con il suicidio della moglie. Il pianista si chiama Edouard Saroyan ed è un immigrato armeno, proprio come il padre del cantante, Misha, che cantava da baritono.
Aznavour portava con sé il mistero di tempi lontani anche nella voce, incrinata da una paralisi ad alcune corde vocali che aveva avuto da bambino, quando gli era venuta forte, già allora, la voglia di farsi sentire cantare. I problemi alle corde vocali erano rimasti e i medici gli avevano sconsigliato di provare la carriera dello chansonnier, ma lui aveva continuato imperterrito, anzi aveva fatto di quel difetto una caratteristica inconfondibile delle sue interpretazioni. A tale proposito scriverà sul suo sito: «Quali sono i miei handicap? La voce, l’altezza, i gesti, la mia mancanza di cultura e di personalità. La mia voce? Impossibile cambiarla. I medici che ho consultato sono categorici: mi hanno sconsigliato di cantare. Sono stato tenace, e ce l’ho fatta».
Insomma tutti i suoi limiti sono diventati gli strumenti che ha utilizzato per diventare un grande compositore di canzoni e uno straordinario interprete, per dare intensità e limpidezza al canto. Uno che ha saputo essere piccolo, senza particolare fascino, non dotato di una grande voce, ma che ha raccontato l’amore in tante sue forme, è stato per diversi decenni al centro della scena musicale internazionale, si è mosso su palcoscenici importanti fino a pochi giorni dalla morte, avvenuta, come tutti ormai sanno, a 94 anni, nella notte tra domenica e lunedì.

Aznavour con Edith Piaf

Fu scoperto da Edith Piaf, che poi avrebbe interpretato alcune sue canzoni. Erano gli anni Quaranta del secolo scorso. La Piaf anche lei aveva una faccia d’altri tempi, un corpo minuto che, come quello di Charles, si muoveva con parsimonia, senza aggredire, anzi quasi con il timore di fare troppo. Tutto il contrario, insomma, di quello che vediamo fare ora dai cantanti. Piaf e Aznavour non avevano bisogno di essere belli e non agitavano l’aria: la muovevano e la facevano diventare viva, solo con le mani, con il volto e con gli sguardi.

Non ci credete? Provate ad andare sul sito aznavourfoundation.org (detto per inciso è il sito della Fondazione che il cantante creò per aiutare la terra dei suoi avi). Vi attende la faccia di Charles Aznavour che vi guarda. Non succede nulla, non c’è musica. Lui guarda, alza il sopracciglio, sembra voglia parlarvi, sembra stia per piangere, poi è perplesso, si pone delle domande, quasi ridacchia, vi guarda e strizza gli occhi, scuote un po’ la testa.
Le sue canzoni sono tutte lì.

Pubblicato sul web magazine Succedeoggi

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