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Il Punto. Recensioni

 

di Alberto Toni

 

Nulla si crea, ma tutto non rimane”: Grattacaso interroga l’universo, o meglio, ragiona sul rapporto degli uomini con l’universo, ma la sua metafisica dubbiosa è sempre controbilanciata dalla realtà viva e presente delle cose, l’infinito è sempre in relazione con la finitezza: “e il mio tormento / di non sapere, il dubbio non risolto / di essere dispersi e andare avanti”. Ed ecco che nel quotidiano “s’affaccia un’illusione d’infinito”, qualcosa che viene e sparisce e forse non conforta. “Siamo noi i sapienti”, ma l’universo rimane inconoscibile, anche se “da qualche parte ci sarà un progetto”. Grattacaso si confronta con i grandi temi, ma la sua filosofia ha bisogno di ricadere a terra, di rompere la serietà dell’analisi con un urto, uno straniamento nella lingua e nel ritmo: Che cosa ci resta tra antenna e impalcatura? / Un po’ di cielo, uno spicchio di tetto, // un sentimento di pioggia e di frittura”: basta quest’ultimo termine a riportare il discorso in una dimensione comune, tra sapienza e ironia, dunque. “Meglio la concretezza delle tazze”: gli oggetti, nella loro materialità, si mostrano al tatto e alla vista. Questa poesia, gnomica ed epigrammatica, preferisce attenersi al visibile, all’osservazione da cui trarre insegnamento (forse), e così si affida all’apologo: “La tartaruga cerca un suo rifugio”, ma nel suo essere animale conosce il limite, l’impossibilità di essere altro. Anche noi dentro il nostro limite non capiamo: “Una gran massa di stelle l’universo, / chissà quanti miliardi alla rinfusa, / troppe galassie, un non luogo astrale, / come prodotti in un centro commerciale”. La nostra identità oscilla tra il troppo vicino e il troppo lontano: “La vita dei bicchieri e delle stelle, / tutta gentile e tutta risplendente, / brillante di gas elio o detergente, / è quello che noi siamo e non sappiamo”. Bicchieri, sedie, lampadine, cucchiai: gli oggetti prendono forma e si stagliano nella loro essenzialità: “La casa tutta nuova, restaurata, / cioè ringiovanita, io invece invecchio, / mi sembra di incurvarmi sul parquet”. Il poeta risponde con una leggerezza che richiama Penna: “Primissimo mattino che si addice / a un merlo acrobatico e felice”. Si muove come un eroe, ma un eroe senza imprese nel serrato contrasto tra anima e corpo. La corporalità è anche solitudine, starsene in disparte nel mese d’agosto: “Questo mese è crudele, anzi feroce”, dove sentiamo Elio, la terra desolata della contemporaneità, confortata però ancora una volta dal canto: “Luce serale languida e gentile, / pulita del trascorso temporale, / in questa perfezione giovanile, / la vita è inconcludente ed immortale”.

 

Il Punto, Almanacco della poesia italiana, n. 4. 2014
 

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