Si sforza in ogni modo il cavalluccio
marino di rimanere dritto,
imperterrito e dritto, verticale
pur in quel mondo agli occhi suoi bislacco
e orizzontale, lui testa di cavallo
e ricciolo di viola, dentro il mare
si sente perso, troppo aristocratico,
simbolo d’avvio pentagrammatico
tra muti e sordi, timido residuo
di un’età ancestrale, fossile
eppure vivo, cosa ci faccio
io, dice, cullato da quest’onda
distratta, io acrobatico, mi sembra
di correre lontano e invece mai
arrivo, troppo schivo
per mostrare agli altri la mia danza,
dondolando sulla coda ballo
in un mio ritmo banale endecasillabo.
(da Confidenze da un luogo familiare, Campanotto 2010)