La poesia di Giorgio Orelli si è spesso circondata di eventi minimi, muovendosi in una geografia dell’ordinario, alimentata da un rapporto con la realtà che potremmo dire dettato dalla consuetudine. La tangibilità del mondo reale è d’altra parte sempre elemento sostanziale delle sue liriche. E’ proprio nell’usuale svolgersi dei fatti, nella trita regolarità di quello che ci è davanti, che Orelli affonda lo sguardo, non per sfidare la banalità del vivere, né per dircene la ragione, ma solo per guardarla, così da meravigliarsi che proprio nella normalità della realtà risieda la sua stravaganza, si manifesti un’ipotesi di eccezionalità.
E’ proprio lì, in quel tratto tra l’ovvio e lo straordinario, che si nasconde l’occasione, la strada che porta alla poesia, a patto però di non credere che nel tragitto, o tanto meno nel suo punto di avvio, si nasconda un senso, che si possa insomma, proseguendo per il cammino, arrivare ad una verità. La realtà, sembra dire il poeta, e anche tutto quello che la trascende, è già in quei fatti insignificanti, nelle piccole deviazioni che comunque si ripresentano quotidianamente, nei tasselli che non riescono a comporre infine nessun quadro d’insieme. Gli oggetti dunque non rimandano ad altro, non sono il correlativo di stati d’animo o di sentimenti, ma valgono per se stessi e per quello che riescono a contenere. A volte essi infatti sono i depositari di un passato, il tramite attraverso cui la realtà non presenta più se stessa per quello che è, ma per quello che è stata.
Ad esempio, nella poesia In memoria gli oggetti ordinari sono “il nastro ormai privo d’inchiostro” della “vecchia Olivetti”, la bicicletta che utilizza il poeta e che gli permette di passare davanti a un negozio, di cui conosce bene il proprietario e la sua famiglia, il cartello con su scritto CHIUSO PER LUTTO.
Vale la pena considerare che la poesia, che riporto di seguito, è tratta dalla raccolta Il collo dell’anitra, che Giorgio Orelli pubblicò nel 2001, appena dopo aver compiuto ottanta anni. La notazione temporale serva a porre l’attenzione sul fatto che, ad inizio del nuovo millennio, alcuni degli oggetti nominati nella poesia sono di fatto “fuori corso”, compreso quel “negozio” a gestione familiare, che ancora sarebbe in possesso di nastri per una vecchia macchina da scrivere. E’ chiaro che, se anche i versi rimandano a una situazione vissuta qualche anno prima, tutto serve a comporre un disegno che rimanda al passato, all’impossibilità che questo si ripresenti, se non denunciando le assenze, le separazioni dalle figure e dagli oggetti, che il trascorrere del tempo comporta. Anche per questo il sintagma nominale “totale scomparsa” viene ad acquisire una posizione centrale nell’intera lirica.
In memoria
Tornavo per farmi cambiare
il nastro ormai privo d’inchiostro
della mia vecchia Olivetti, e allungando,
come faccio, passando in bicicletta
davanti al tuo negozio, l’occhio
di là dai vetri, ho visto
che non c’era nessuno (forse
Lina è di sopra con Dora)
e ho visto CHIUSO PER LUTTO (forse
è morto Lino): da un po’
non ti vedevo, non mi contavi storielle.
Volevo dirti che mi sono accorto
solo adesso della totale scomparsa,
a sinistra, di E, di O a destra.
Il tasto è nero ma sempre lucente,
se batto (eternamente con due dita) continuo
a vederle, bianchissime, intatte
o quasi, come, là in basso, la X.
Da notare, nella prima parte della poesia, oltre a quanto già detto sulla presenza di oggetti desueti e comunque caratterizzanti un paesaggio minimo, che l’espressione “ho visto / che non c’era nessuno”, di uso sicuramente colloquiale, appare in qualche modo paradossale, facendo riferimento, in maniera quasi accidentale, ancora una volta a delle assenze. Potremmo addirittura esagerarla in “ho visto delle assenze”. Le due sequenze tra parentesi che compaiono nei versi successivi stanno poi ad indicare dei pensieri (da qui l’uso del presente, in una poesia in cui prevale il passato narrativo: non a caso la poesia si apre appunto con un verbo all’imperfetto). Il protagonista della poesia prima dice a se stesso che forse Lina è di sopra con Dora (moglie e figlia di Lino? due sorelle?), poi che forse Lino è morto.
E’ a questo punto che, tornando alle ragioni della sua visita, il poeta confessa che avrebbe voluto dire al proprietario del negozio della “totale scomparsa” sui tasti della macchina da scrivere dei segni della E e della O, che si sono evidentemente consumati per l’uso, ma che lui continua a vedere (vede, anche in questo caso, delle assenze) come se fossero intatte, proprio come la X che non viene quasi mai usata.
Il passato insomma si ripresenta e gli oggetti sembrano essere in grado di evocarlo. La scomparsa di Lino (non si dice così per significare che qualcuno è morto?) viene ribadita e nello stesso momento il lutto elaborato grazie al parallelo riferimento alla scomparsa delle lettere. Ma se da una parte il poeta continua a vedere le lettere sui tasti, dall’altra della presenza di Lino è possibile solo sentire nostalgia, la stessa che provava nel Livro do Desassossego Bernardo Soares, eteronimo di Pessoa, alla scoperta della morte del barbiere da cui spesso si recava: “Nostalgia! Ho nostalgia perfino di ciò che non è stato niente per me, per l’angoscia della fuga del tempo e la malattia del mistero della vita. Volti che vedevo abitualmente nelle mia strade abituali: se non li vedo più mi rattristo; eppure non mi sono stati niente, se non il simbolo di tutta la vita”.
Parlando di ciò che è possibile toccare con mano, anzi con le dita nel caso della Olivetti e dei suoi tasti, Orelli ci porta verso quello che non c’è, che è senza rimedio lontano e trascendente., verso ciò che Pessoa individua come “l’angoscia della fuga del tempo”. L’eternità viene richiamata da un limite, da una disabilità: il poeta riesce a battere sui tasti della macchina da scrivere eternamente, anche se solo con due dita.