Ho provato un grande piacere nel rileggere le poesie di Calle del vento, la raccolta che Diego Valeri pubblicò nel 1975, un anno prima della morte, nella collana Lo Specchio di Mondadori. Valeri, che era nato a Piove di Sacco il 25 gennaio del 1887, aveva allora 88 anni. Stupisce lo sguardo ancora curioso sul mondo, la freschezza del movimento che emana dai versi, la meraviglia di fronte ai quotidiani accadimenti.
I versi di Diego Valeri interrogano spesso la natura, anzi si posano su di essa, scoprendola abitata da semplicissimi eppure affascinanti, quasi miracolosi eventi: “C’è una carezza d’aria nell’aria, / un bagliore di sole / nel cielo senza più sole. / Queste sono le indicibili sere / della mezza estate” oppure “Un così grande bosco, un così grande / silenzio, per un uccellino / da nulla, talmente minuto / di corpo e di voce…”
Non si deve però credere che la poesia di Valeri risulti in fondo inconsistente nel suo nitore o che il suo sguardo meravigliato invogli unicamente a una felicità senza pieghe né chiaroscuri. Il passo di Valeri cammina con leggerezza verso il nulla, che poi in fondo si manifesta come la sola verità dell’esistenza. Come scrisse con felice intuizione il poeta Carlo Betocchi già nel 1937, “la migliore poesia di Valeri è delicatissimamente situata in una pausa, tra due estremi”. A questa pausa, tra la fragile bellezza del vivere e la condanna inequivocabile all’inconsistenza delle cose e delle vite, si aggrappa la poesia di Diego Valeri fino alle ultime prove, come dimostra la poesia che di seguito trascrivo.Giù al fondo della valle
c’è il fiume e c’è la strada.
E c’è pure l’omino, eccolo là,
che cammina col fiume,
e poi si ferma e sta.
E’ un punto, un nulla. Ma fa quel che vuole:
sempre nel giro del nulla, si sa.