Matteo Pelliti, Somiglianze di famiglia, Industria & Letteratura
La poesia di Matteo Pelliti tende a sondare il territorio vicino e circostanziato che si profila in ambito privato e familiare. A volte lo sguardo è ravvicinato e mette in risalto i particolari, i tratteggi minimi, che vengono così a manifestarsi in forme inconsuete e curiose, in qualche modo straniate. In altri casi la lente utilizzata allontana l’immagine, ci fa vedere piccolo e inafferrabile ciò che invece nella realtà si propone con l’evidenza realistica dell’immediato. Accade così che la visione possa dar luogo ad un effetto emotivamente intenso, a volte volutamente sentimentale, oppure ostentare un portamento assorto e divagante, un linguaggio per così dire teorico, con l’intenzione in ogni caso di evidenziare il vincolo affettivo che lega al microcosmo circostante, e liberarlo degli esiti troppo confidenziali e singolari, destinarlo ad una percezione più generale. L’obiettivo è poter considerare il contenuto nella sua valenza di destino comune, di questione universale. Accadeva, con rilevanti esiti, nei precedenti volumi di versi, Dal corpo abitato (2015) e Dire il colore esatto (2019), entrambi editi da Luca Sossella, e tale modalità appare ancora presente, forse più accentuata, in Somiglianze di famiglia (Industria & Letteratura).
Sulla scorta di una riflessione dell’amato Wittgenstein, citata in esergo, Pelliti direziona i suoi versi alla scoperta di relazioni, casualità, combinazioni, movimenti, che costruiscono la base su cui si intrecciano relazioni e discendenze. Le generazioni precedenti alimentano così, attraverso le loro disposizioni genetiche, ma anche con l’epica che in qualche modo finiscono per rappresentare, il mondo di coloro che verranno. Passato e futuro vivono di continui rimbalzi e richiami, di trasalimenti e di evocazioni, con gli avi che un tempo hanno provato a immaginare la sorte e la fisionomia delle generazioni a venire, e i discendenti impegnati a costruire una mitologia familiare da condividere peraltro con chi non c’è più; obbligati a cercare nel passato le ragioni della loro esistenza, dei caratteri, della natura fisica, dell’indole, della struttura interiore: “avi, trisavoli / siamo noi i loro fantasmi possibili, / noi evocati dall’anteriorità, noi / posteriori, prodotti ultimi e provvisori. / Essi, loro, i bisnonni ci chiamano al mondo / col loro casuale intreccio / di matrimoni, partenze, stanzialità”.
Il paesaggio si completa con un ritratto del presente nel quale assumono il ruolo di protagonisti i due figli del poeta, ad ognuno dei quali è dedicata una sezione del libro, nella consapevolezza che compito primario dei genitori, forse solo alimentato dalla loro ansiosa tensione, consiste nel “fermare i virus silenti / che viaggiano indisturbati, e volentieri, / lungo gli alberi genealogici”.
In Somiglianze di famiglia il linguaggio di Matteo Pelliti è sempre alla ricerca di un equilibrio tra gli sbandamenti emotivi determinati dalla rivelazione del sentimento, con quel tanto di toccante affettazione a cui il poeta sa di doversi sottomettere (“Quando si ama si è vulnerabili al mondo per un numero di volte pari alle persone amate” afferma nella breve prosa del Congedo), e il controllo di una lingua che cerca il distacco della pronuncia esatta, ma che agisce nella consapevolezza di non volere mai fino in fondo veramente mascherarsi per rinunciare al turbamento della commozione.
Questa recensione è stata pubblicata nell’edizione 2022 dell’annuario di poesia I limoni, curato da Francesco De Nicola e edito da Gammarò. Faccio parte della redazione dell’annuario, insieme a Domenico Adriano e Valentina Colonna, e naturalmente al coordinatore De Nicola.
La foto in copertina è tratta dal volume Somiglianze di famiglia.