La scuola della ripartenza raccontata dall’ultimo banco
Da oggi è in libreria Foto di classe, il mio libro, edito da Castelvecchi, che raccoglie gli articoli pubblicati sul web magazine Succedeoggi.it nel periodo del lockdown e fino ai giorni della ripartenza. Un modo per riflettere e ripensare a cosa è statala scuola negli ultimi anni. Pubblico di seguito una parte del Preambolo.
Questo libro è il racconto della scuola al tempo di Covid-19, della scuola che prova a ripartire, che si cerca, si insegue, si ritrova, vorrebbe non perdersi più. Ne sono protagonisti studenti con “polmoni secchi ed occhi che urlano bisogno di calore”, come scrive Francesca, ragazzi che hanno voglia, chi l’avrebbe detto, di tornare a scuola, insegnanti impauriti ed accoglienti, insegnanti impauriti e respingenti, dirigenti affannati. Ed il racconto diventa anche riflessione su quello che la comunità scolastica avrebbe dovuto essere e potrebbe ancora diventare.
Si è parlato tanto di scuola negli ultimi mesi, come non succedeva da anni. La scuola imbalsamata dal coronavirus, quella della didattica digitalizzata e dell’insegnamento condizionato da connessioni e consumo di giga, è diventata improvvisamente una notizia. Spariti i tormentoni stagionali e gli allarmi meteorologici, le condizioni climatiche tornate ad essere clementi o quanto meno ad essere condizioni climatiche, introdotto l’obbligo giornaliero del tormento dei bollettini di morti contagiati guariti, sprangati i portoni degli edifici scolastici, la scuola ha riscoperto di essere vitale, centrale nella vita della nazione. Deserti aule e corridoi, i chiassosi quarti d’ora di ricreazione, palcoscenico di amori repentini e di banchetti furiosi, sostituiti da solitarie fugaci merende a telecamera spenta, la scuola della resistenza attraverso la didattica a distanza, è tornata ad essere, nell’assenza dei suoi artefici, il luogo dell’incontro e della crescita, il posto nel quale rimanere e dal quale si vorrebbe fuggire, il teatro di amicizie e rancori, dello scambio, delle domande, della ricerca delle parole. Il territorio della presenza collettiva, sul quale si è evoluta la storia delle generazioni.
Si è scritto tanto di scuola in questi mesi. Soprattutto di didattica a distanza, della questione del rientro, di sicurezza sanitaria. Fin dalle prime settimane di lockdown, gli studenti si sono trovati al centro dell’attenzione generale, ma gli adolescenti in quanto tali, spogliati dei loro abiti di alunni, erano scomparsi dalle cronache nazionali. Non solo. Erano proprio spariti dalla vita collettiva. Non andavano a fare la spesa, non ci si chiedeva se avessero diritto all’ora d’aria come i loro fratelli più piccoli, non morivano come i loro nonni, non erano più i bulli, gli sconsiderati nottambuli, gli sdraiati, i rapper, gli sportivi, i consumatori seriali di spritz e shottini. Erano solo studenti, come tali, ma diversamente da sempre, persi dietro i loro dispositivi tecnologici, che all’improvviso diventavano indispensabili, non più consegna-il-telefonino ma usalo perché è strumento didattico obbligatorio.
Da questa scomparsa nasce il libro che avete tra le mani. L’articolo che è ora diventato il primo capitolo di questo volume (Salviamo gli adolescenti!), pubblicato sul web magazine Succedeoggi, ha avuto diffusione virale, spostando di nuovo sugli adolescenti una parte dell’attenzione generale, completamente persa nelle settimane precedenti. A quel primo articolo ne sono seguiti altri, che qui vengono in buona parte proposti.
Foto di classe, si diceva, è sostanzialmente un racconto. L’emergenza dovuta all’epidemia da Covid-19 viene utilizzata, però, solo come una chiave, una sorta di grimaldello metaforico, per affrontare le questioni di sempre sul fronte dell’insegnamento: il rapporto tra studenti e docenti, la capacità di leggere il mondo esterno e di comprendere le curiosità e gli interessi che gli adolescenti manifestano, la distanza che spesso intercorre tra mondo della scuola e mondo reale, anche in tempi non interessati dalla didattica a distanza. Insomma, se il lockdown ha messo a nudo le nostre fragilità e le nostre paure, ancora di più il fenomeno è stato avvertito nel pianeta scolastico, già di per sé impaurito e traballante.
L’ottica con cui in queste pagine si guarda alle avventure scolastiche degli ultimi mesi è in qualche modo distorta, anzi bifocale o addirittura strabica. All’Ultimo Banco, quello da cui vengono messi a fuoco i fatti narrati, siede uno studente, come è normale che avvenga, con le sue necessità, le incertezze e le insoddisfazioni proprie dell’età, con le pressioni ormonali e quelle dettate dalle prestazioni da videogiochi. Ma, in questo libro, quel banco è anche occupato da un insegnante, che – come lo studente con cui si confronta in un dialogo serrato anche se mai del tutto esplicito – continua a guardarsi intorno, ad osservare dalla finestra dell’aula, con un sguardo curioso e divertito, malinconico e irriverente, a volte dolente e preoccupato.
Da leggere! La scuola è una grande finestra sul mondo. Grazie Giuseppe.
Sicuramente sarà un bel libro! Il mio ex professore di italiano è forte!