Non può essere messa in dubbio l’affermazione che voglia sottolineare il legame esistente, sul piano etico innanzitutto, tra filosofia e poesia: la ricerca di una ragione che spieghi l’esistenza, da qualunque lato la si voglia vedere, è attività alla base di ogni opera filosofica, così come essa non può che sempre sottendere anche il corpus poetico che voglia dirsi tale. E’ altrettanto vero che la parola della filosofia si nutre in qualche modo anche di alcuni degli strumenti retorici che sollevano la significazione dal livello più blandamente comunicativo, al fine di poter dire quello che l’uso convenzionale e denotativo del linguaggio non riesce compiutamente ad esprimere. E’ noto come la filosofia greca antica abbia fatto uso di un linguaggio immaginifico ed evocativo e che Platone, in particolare, abbia intessuto le sue opere con momenti di puro lirismo.
Francesco Bargellini con Platone!, pubblicato per i tipi di Nino Aragno Editore, ci mette dinanzi ad un’operazione di grande interesse culturale e dalla riuscitissima tenuta poetica, non solo traducendo in versi le parole del grande pensatore, ma ricomponendo i lacerti di questa azione in una raccolta, tale da prestarsi ad essere considerata un’opera del tutto originale, pur attingendo in maniera puntuale ai diversi scritti del filosofo. Dei testi originari non si tiene conto di quel continuum che ogni scritto filosofico è costretto ad inseguire, ma anzi si preferisce pensarli, così costruendo un tracciato del tutto nuovo, come se si trattasse di una raccolta di frammenti, come se dell’impresa iniziale fossero rimaste solo segni sparsi da cui è possibile immaginare le parti mancanti.
Spiega Bargellini nell’ampio scritto in prosa che dà inizio al volume, che il percorso poetico che ha ricavato dagli scritti di Platone è “delineato per frammenti, quasi che il corpus platonico fosse un solo grande poema perduto e ora riemerso per schegge isolate; e questo percorso ha la natura dell’omaggio e del saccheggio al contempo”. Aggiungerei che ha anche la natura di un libro compiuto e di tono e di linguaggio unitari, fedele del resto alla parola del maestro ateniese al punto da ricostruirla in maniera inusuale e profondamente incisiva.
Bargellini insomma scrive un libro di poesia che è sicuramente opera di Platone (le traduzioni d’altra parte, sia pure in versi, sono fedeli per contenuto e verrebbe da dire nell’intonazione musicale alla lezione originaria), ma che è anche, con la stessa sincerità e la stessa forza, risultato della più intima natura artistica ed umana dello stesso Bargellini. Quindi se è vero, come saggiamente suggerisce Alessandro Fo che firma la prefazione al volume, che “Platone filosofo-poeta e Bargellini poeta-filosofo” sanno che “la filosofia procede dalla meraviglia” e che “la meraviglia a sua volta produce anche parola meravigliata e meravigliosa, cioè poesia”, sta di fatto che in questo caso la parola che “trasferisce nell’animo del lettore, in un unico tratto, bellezza, conoscenza, pienezza, producendo inestimabile ricchezza” è frutto del lavoro di entrambi: e anche questo lavoro a quattro mani a distanza di secoli risulta certamente meraviglioso, e spiega molto dell’intento dell’autore nostro contemporaneo, che tiene comunque a precisare che l’antologia “è proditoria, in primo luogo, ai danni del pensatore”.
Non c’è dubbio, danno o no, che il risultato sia di grande forza espressiva e che consegni al lettore intatto, anzi in qualche modo rinnovato, il valore del pensiero di Platone. Basta qualche esempio: “La gente non sa: / senza questo tragitto attraverso ogni cosa, / senza vagabondaggio // se pure la incontri non avrai intelligenza / della Verità” (“Il vagabondo” dal Parmenide); “mi ordinava di fare musica, / e io questo facevo // sicuro che la filosofia / fosse la musica massima” (“La musica” dal Fedone); “Guardati intorno, davvero, sta’ attento / non ci senta un profano // questi sicuri che non ci sia altro / oltre ciò che le mani riescono a stringere // che alle azioni, alle generazioni / e all’Invisibile tutto / non concedono essere” (“Il profano” dal Teeteto).
Il Platone! di Francesco Bargellini parla anche alla e della nostra contemporaneità. Ne è prova a suo modo l’ultima parte del libro, che è costituita dalle brevi prose che hanno titolo Platonico. In questo caso Bargellini parla esclusivamente (almeno così si direbbe) a proprio nome: considerati i presupposti e la scelta di far esprimere Platone in versi, non può, lui che è autore di versi, al quarto libro di poesia dopo Il significato, Dresda e Sono paura, che scegliere la strada di esprimersi in prosa. Sono scritti che ci mettono di fronte ai mali e alla limitatezza dei nostri tempi, quasi a voler ribadire l’urgenza e la necessità di recuperare un’esistenza da platonici, appunto. In uno di questi scritti Bargellini afferma che il Platonico “diceva che la gente, per non conoscersi, frantumava peculiari specchi; ed era bene che facessimo orecchio a quel crash di ogni giorno, da tutte le case. Era istruttivo sapere degli innumerevoli settennati di guai, e la follia di quell’autoteppismo, mentre i bambini si ferivano con i frantumi”. Se fossero di più i platonici, dice in un altro di questi poemes en prose, se ci fosse “un esercito Platonicorum”, gli uomini avrebbero pietà per le disgrazie proprie e dei propri simili.
Pubblicato su Poesia n.324