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Il maestro elementare Giorgio Caproni

 Antonio Debenedetti, in un’intervista televisiva, racconta di essere stato allievo di Giorgio Caproni. Suo padre Giacomo, il ben noto critico letterario, l’aveva lasciato lungamente in giardino mentre era a colloquio con Benedetto Croce. Il piccolo si era ammalato e così Caproni, al fine di sdebitarsi per i consigli ricevuti da Debenedetti padre in merito alla traduzione della Recherche a cui stava lavorando, si era proposto di fare da maestro al bambino nei lunghi mesi invernali in cui sarebbe stato assente dalla scuola. Erano gli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale.
“Con lui non è che si facessero proprio delle lezioni – ricorda Antonio Debenedetti –. Per esempio scrivevamo delle poesie a due voci oppure insegnava le divisioni attraverso una specie di filastrocca. Era un maestro straordinario e ironico”.

Giorgio Caproni
Giorgio Caproni

Caproni è stato maestro elementare. Aveva iniziato a insegnare nell’anno scolastico 1935-36 a Rovegno. Trasferitosi a Roma, fu alle scuole elementari Pascoli e poi alle Crispi di Monteverde Vecchio. Vincenzo Cerami, che frequentò a lungo il poeta livornese, lo ricorda in un articolo di qualche anno fa come un maestro molto amato, che usava metodi singolari di insegnamento. Per esempio, scrive Cerami, “i bambini entravano in classe e si trovavano già seduto in cattedra un Caproni teso e preoccupato che subito chiedeva aiuto. Diceva: ragazzi, sono rovinato! Oggi dobbiamo studiare le campagne di Napoleone e non mi sono preparato abbastanza. Se lo sa il direttore scolastico mi licenzia. Come si fa? I bambini, impietositi dal furbo maestro, lo tranquillizzavano e gli rispondevano: non preoccuparti, maestro, ti aiutiamo noi a studiare Napoleone. Ti leggiamo il capitolo a voce alta così se entra il direttore vede che tu sei preparato e non ti licenza”.

Una volta si fece trovare indaffarato, mentre con il metro misurava la lavagna. “Il direttore vuole sapere la superficie della lavagna – disse il maestro – e non ricordo come si fa a calcolarla”. Base per altezza, suggerì qualcuno. “Perché?” chiese pronto Caproni. Ne nacque un’interessante discussione.
Caproni “era quasi un fratello maggiore per i suoi alunni”. Scrive Cerami che chi terminava per primo un problema o una composizione d’italiano, veniva mandato a comperare un quotidiano e i canestrelli. Con essi infatti venivano premiati il primo e l’ultimo degli scolari, quasi a sottolineare che ai suoi occhi avevano lo stesso merito.
“Aiutava tutti, soprattutto chi era in difficoltà. Si intratteneva spesso con i ragazzi anche dopo l’orario scolastico, e non era contento finché tutti non avessero capito. Era sempre di un’allegria contagiosa, faceva studiare le poesie a memoria, ma ai suoi alunni non disse mai di essere lui stesso un poeta”.
Chissà se oggi, in una scuola troppo spesso asservita a farraginose pratiche burocratiche, il maestro elementare Giorgio Caproni avrebbe modo di utilizzare la sua ironica leggerezza, così capace di suggerire grandi contenuti, il suo animo di violinista, la profonda umanità di chi crede che la scuola debba servire proprio a tutti per essere migliori, ma soprattutto a chi della scuola sembrerebbe non sapere che farsene. Certo servirebbe almeno un Caproni in ciascuna scuola di ogni ordine e grado. Così, tanto per dare un’opportunità anche all’alunno svogliato, seduto all’ultimo banco, con il quale è inutile sforzarsi, “tanto non capisce”. O per vedere visi sorridenti di fronte a una poesia o a un problema di matematica.

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