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Alessandro Parronchi: una poesia per Nadia Comaneci

Cominciano oggi le Olimpiadi di Londra. A me è venuta in mente una poesia che Alessandro Parronchi scrisse nel 1976, contenuta nella raccolta Replay, pubblicata da Garzanti nel 1980. Parronchi era nato a Firenze nel 1914. Nella stessa città è morto nel gennaio del 2007. Ha pertanto vissuto da protagonista, sia pure in un suo modo gentile e appartato, una stagione culturalmente viva e significativa, segnata da presenze ed esperienze importanti. A Firenze Parronchi ha sempre vissuto e ha insegnato all’Università, è stato un critico d’arte di grande sensibilità e intelligenza e ha dedicato studi fondamentali all’arte e all’architettura del Rinascimento, fino poi ad essere testimone sempre più ai margini degli anni della decadenza della città, così profonda da modificarne, almeno in parte, l’identità morale.
Era Parronchi un signore d’altri tempi, dotato di un aplomb anglosassone, a disagio appunto negli ultimi anni, ma sempre estremamente curioso delle vite degli altri, disposto a un confronto serrato anche con le manifestazioni più ordinarie dell’esistenza.
Della sua garbata e limpida pietas, è esempio la poesia A Nadia Comaneci, incerta sul cavallo. Tutti ricorderanno la giovane ginnasta rumena che alle Olimpiadi di Montreal del 1976 vinse tre medaglie d’oro e fu la prima al mondo ad ottenere il punteggio complessivo di 10 dopo una strepitosa prestazione alle parallele asimmetriche.
Trascrivo, senza altro aggiungere, ma con una forte dose di commozione e di nostalgia, le due ultime strofe della poesia. Vale la pena solo accennare alla triste successiva parabola della vita della Comaneci (che la poesia sembra in qualche modo presagire), fino alla fuga negli Stati Uniti nel 1989 e al definitivo riscatto.
Nadia Comaneci alle Olimpiadi di Montreal del 1976

E ora, prima che la cresta
dell’onda si sia ripiegata
– prima che un rotocalco
sveli la tua vita privata,
o ti riduca a schema
come una rotellina del sistema –
sii quale appari, perfetta
forma di giovinetta,
col ritmo del tempo coinciso
il tuo ritmo e il tuo sorriso
quando, un attimo vinta
la resistenza la spinta,
torna a dar consistenza
alla terra la tua cadenza.

Ma fino a quando – a me lo chiedo –
potrai lanciarti come viva foglia
che inventa il vento da cui viene avvinta
in mulinello, senza
che il ritornare a terra ne scomponga
la compattezza aerea?
E’ gioia d’un istante: anche se vera
non dura una preghiera.
E forse a ogni stagione, in ogni età
il più di sé può darlo
solo chi crede al vento che trascina
il mulinello d’immondizie,
chi non si salva, chi non si sottrae,
un ramo vivo, strappato
a una pianta che si credeva morta,
uno, con l’estro ancora di rispondere
ai perché d’una volta.

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