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POESIE DELLA FAME E DELLA SETE di Francesco Iannone (Ladolfi Editore)

Nella grande massa dei volumi che occupano i banchi delle librerie e che ogni settimana si rinnovano (tanti i libri, così pochi i lettori?), non c’è rischio di rintracciare i solitamente smilzi e più dimessi libretti dei poeti italiani, in particolare se sono di poeti all’esordio e di editori minori se non altro nella capacità di distribuire i propri prodotti. In un angolo della libreria, il più buio il più lontano dall’entrata, pure un settore destinato alla poesia è presente, ma è quasi interamente occupato dai classici e dagli immancabili Neruda e Lorca; è possibile notare tra i poeti italiani per abbondante numero di titoli la sola (e solita) Alda Merini.
Eppure la poesia italiana è alquanto viva e capace di offrire una lettura della realtà per nulla scontata né condizionata da questi tempi in cui la comunicazione sembra marciare decisamente verso la ripetizione di formule note e rassicuranti. E’ vero che i poeti, forse anche perché reclusi in un orizzonte editoriale piuttosto ristretto, tendono a cancellare o a ridurre al minimo ogni confronto con il lettore, anzi spesso dimenticano l’ipotesi che un lettore possa esistere, ma questo non giustifica l’abbandono. Succede poi che dal calderone qualcuno trovi il modo per uscire e mostrarsi solo per caso e per capacità di autopromozione.
Uno sforzo di ricavare qualche indicazione nel brulicante mondo delle opere di poesie (e delle opere prime, in particolare) va comunque fatto. Succede così di scoprire presenze interessanti, esordi certamente da segnalare.
E’ il caso per esempio di Francesco Iannone che presenta al pubblico dei lettori le Poesie della fame e della sete (Giuliano Ladolfi Editore, con una bella e accorata nota introduttiva di Gabriella Sica). Già nella prima poesia, un distico il cui carattere corsivo sembra segnalare un intento programmatico, il giovane poeta salernitano (è nato nel 1985) dichiara che il verso non deve distrarre e confondere, quanto piuttosto arrendersi al reale. E’ una dichiarazione di poetica di inusuale chiarezza e determinazione. Va da sé che il reale della poesia di Iannone è ben altra cosa da quel superficiale ammasso di eventi e circostanze, di oggetti e persone che sembra invece a bella posta volerci distrarre dall’essenza vera e profonda delle cose, appena percettibile e sempre sfuggente. La realtà, per Iannone, si compone di una quotidianità attraente ma indeclinabile nei suoi valori più sinceri, una quotidianità che improvvisamente sbanda, prende vie inconsuete e impreviste. E’ una quotidianità che diremmo spicca il volo, viste le citazioni in esergo da Leopardi, Luzi e dall’amato conterraneo Gatto, che tutte si riferiscono al volo e agli uccelli, e considerati gli scarti verso l’alto di cui la realtà in queste versi è spesso protagonista. E’ quanto avviene nella poesia in cui un vecchio solitario su una panchina è spesso visitato da un uccello che “sgambettava qua e là come ad eseguire un ballo / un esercizio di danza complesso”. Ma poi il vecchio non occupa più il posto dove il poeta l’ha visto tante volte, “forse se n’è volato via per fare compagnia a quell’uccello / nel cielo così solo, senza nemmeno un rifugio o un appiglio”.
E’ una realtà amica e sofferente quella che emerge da queste Poesie della fame e della sete, segnata dai limiti imposti dal tempo e dalla lotta per la sopravvivenza, ma il poeta sa che “c’è un giardino bellissimo dove / il pane si divide, è un luogo vero, reale, / dove il grano si coltiva insieme / e si ride, si vive…”. La lingua per raccontare questa realtà è piana e scivola quasi verso la scoperta di verità nascoste.

(pubblicata su Giudizio Universale)

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