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ITALY

L’avvenimento di per sé non è particolarmente significativo (se non per me, forse), ma si presta ad alcune considerazioni. Qualche giorno fa ho letto il poemetto Italy di Giovanni Pascoli al teatro Manzoni di Pistoia, davanti a un centinaio di persone. Mi accompagnava nell’impresa, piuttosto ardua e affascinante, il contrabbasso di Alessandro Antonini.
Nel corso della lettura, ho potuto avvertire un sentimento crescente di partecipazione e commozione, che al termine molti dei presenti mi hanno apertamente manifestato. Alcuni hanno anche aggiunto che nella loro mente era presente, nutrita da letture scolastiche più o meno lontane, un’immagine ben diversa della poesia di Pascoli da quella prodotta dai versi di Italy.
Ho pensato che la poesia contiene, per statuto, una componente di musicalità, che la lirica italiana degli ultimi decenni ha cercato con assiduità di evitare, di non mostrare. Ne deriva che stiamo progressivamente perdendo uno strumento privilegiato di conoscenza e di diffusione della poesia, che è quello dato dalla possibilità della sua rappresentazione orale. La poesia va letta ad alta voce e, quando possibile, va recuperata ad una dimensione pubblica e socializzante. Per fortuna ci sono diversi poeti che amano leggere in pubblico i propri versi o quelli di altri. E ci sono sempre più poeti che sono bravi lettori.
La poesia deve poter emozionare. Il poemetto di Pascoli, meravigliosamente complesso e immediato nella sua tensione insieme narrativa ed evocativa, racconta di una nonna della Garfagnana e di una nipote di Cincinnati, Ohio. La bambina Maria-Molly insieme agli zii trascorre un breve periodo nel piccolo borgo di Caprona, nella speranza che l’aria dell’Appennino possa aiutarla, come di fatto avverrà, a guarire dalla tisi. La nonna parla un italiano povero infarcito di termini dialettali o gergali, la piccola solo inglese. Beppe-Joe e Ghita, i due giovani zii della bambina, si esprimono in uno slang italo-americano. La poesia tratta di emigrazione, di povertà, di nostalgia per la propria patria, della patria che dimentica i propri figli, e di tante altre cose. Lo fa accordando e miscelando i diversi linguaggi, utilizzando le immagini spietate o dolcissime della natura, spostando continuamente l’attenzione dal mondo interiore dei personaggi a quello esterno e pubblico. Ma soprattutto non ha paura di commuovere. Oggi la poesia è spesso troppo fredda e intimorita di fronte ai sentimenti. Ha paura di suonare retorica. Ma la poesia non può avere paura. Tanto meno della commozione.
Ultima considerazione. La scuola, almeno quando parla di poesia, produce spesso disastri e miete numerose vittime. Una di questa è Pascoli, costretto per l’eternità a veder morire il padre sotto un pianto di stelle. Come si farà a far comprendere a generazioni di non addetti ai lavori la forza della sua poesia?

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