Adriana Tasin, le parole della montagna

La montagna, nei versi di Adriana Tasin, che a paesaggi alpini, arrampicate e viste mozzafiato dedica la raccolta Voragini d’azzurro (Interno Libri, € 15), è il luogo dove il tempo e lo spazio si restringono e si dilatano, le voci si disperdono e i suoni diventano eco evanescente, messaggio incorporeo, svanito prima ancora di essere afferrato e compreso. Il luogo della permanenza e dell’eterna assenza, dell’attimo che scorre implacabile e della sequenza che non può terminare, della concretezza fuggevole della pietra e della nitida esistenza del vuoto. Ai poeti e agli alpinisti è affidato il compito di trovare gesti e parole che possano misurare quelle forme cangianti, eppure solide, e smisurate, segnare una strada e ricostruire un senso nel posto dove il senso a cui siamo abituati sembra non avere criterio e risultare fuori luogo.

In questi versi la montagna non è mai rappresentazione metaforica. È invece cammino da percorrere, o anche solo da immaginare e rendere possibile, organismo fisico attraversato dallo sguardo, verso l’alto o verso il basso perlopiù. È lo sguardo che costruisce distanze e percorsi, calcola lontananze e pericoli, mette insieme segmenti e pesa instabilità e turbamenti: “alla base della parete tu misuri / a palmi d’occhi / le linee immaginarie verticali / con la testa nelle vertigini / fai presa nell’aria / mani vuote quasi ali // quasi sali”.

Le cime fanno sentire la loro presenza e muovono il loro silenzioso richiamo anche quando la poeta alpinista è in città, tra i palazzi, di fronte a “l’acqua morta delle fontane”. Anche allora “le montagne ti stanno di fronte”: “Tu le guardi, senti l’eternità / venirti incontro / tremarti dentro? // arriva l’autobus, devi lasciare / … lasciarle andare”. I versi, come in questo caso, sono spesso rivolti a un “tu”, che è più proiezione di una parte di sé che reale presenza esterna all’io. Allo stesso modo si ripropongono le forme “dico”, “dici”, sempre poste tra parentesi quadre, quasi a delineare una sorta di dialogo interiore, un ragionamento con sé stessi, in qualche modo richiesto, se non addirittura imposto, dalla severità delle cime. L’obiettivo è quello di “trovare il giusto gesto”, di “assimilare spazio e spavento”, di segnare “le linee immaginarie verticali / con la testa nelle vertigini” e infine recuperare l’equilibrio necessario all’ascesa così come alla discesa, che non è solo questione fisica, ma innanzitutto risultato di una scrupolosa disciplina mentale.

Il titolo Voragini d’azzurro è ricavato dalla breve prosa poetica Enfance (Infanzia), tra le prime delle Illuminations di Rimbaud. Il poeta francese sembra in effetti immaginare un luogo sotterraneo (tomba e salon souterrain, salotto) dove egli si trova, ai lati del quale non c’è altro che lo spessore del globo” e forse, continua Rimbaud, “les gouffres d’azur, des puits de feu”, appunto voragini d’azzurro, pozzi di fuoco. Ma vale la pena leggere anche la frase successiva, che apre spiragli di comprensione che ci portano anch’essi sulle montagne di Tasin: “Forse è su questi piani che si incontrano lune e comete, mari e fiabe”, scrive l’autore delle Illuminazioni. Anche le cime diventano luoghi di incontro di esseri viventi e di coloro che sono vivi solo nel ricordo, di voci che provengono non si sa da dove e di pensieri, di stelle e di fiabe. L’autrice lo dice con grande precisione nella prosa che conclude il volume: “Nel corpo della montagna convivono i vivi e i morti, i miti e gli amici; tornano quelli dell’altrove come fiaccole a rivivere, parlano senza materia, muovono labbra di luce”. La vita e la morte abitano entrambe il corpo della montagna.

Adriana Tasin introduce in un linguaggio fortemente evocativo, fatto di immagini luminose e di improvvisi cambi di passo, il lessico specifico e gergale di chi affronta con competenza le scalate. Ne nasce un attrito che libera illuminazioni come veloci epifanie: “è nella verticalità che svaniamo”, o ancora “sei paesaggio e ti confondi nell’immenso / nel dettaglio”, “non è con le mani che devi tirare / è il pensiero che sale per primo”, “a quel punto arrampichi in solitaria / sei nella meraviglia / e ti scusi per tutto quel sole che ancora porti”.

Anche oggetti e ambienti quotidiani possono diventare superfici di nuova configurazione, “possibilità mai contemplate”, in una sorta di trasfigurazione straniata: “cuci con gli occhi la via ‒ parete est ‒ al tavolo di cucina / spaesando con la matita sulla traiettoria alzi lo sguardo / segui le fessure dei pensili i rilievi dei muri / il soffitto strapiombante”, per poi “calarti a corda doppia ‒ sfinito ‒ sulla sedia di casa”.

Tasin è nata a Tione di Trento, è laureata in Scienze Naturali ed ha insegnato per anni discipline scientifiche in Val Rendena. Ha esordito in poesia recentemente, nel 2020, con la raccolta Il gesto è compiuto (puntoacapo). Nei versi di Voragini d’azzurro, la sua terza prova in volume, la montagna è un corpo che va affrontato sapendo che ogni punto di equilibrio nasce da una cura paziente del dettaglio, da uno sguardo sapiente, che deve essere insieme logico e visionario, capace di precisa programmazione e di creativa adattabilità, perché “è un bazar d’oro sacro lassù, con quel tanto di dio che basta ad assimilare spazio e spavento”.

Pubblicato su Succedeoggi.it

L’immagine di copertina è di Giuseppe Grattacaso

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