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La scuola è di chi deve imparare

Procedono verso la conclusione gli esami di Stato, mentre la discussa riforma della scuola conclude il suo tormentato iter parlamentare. L’impressione che si ricava dalla risposta dei giovani di fronte alle prove cui sono sottoposti al termine del loro percorso scolastico, è che i nuovi diplomati abbiano a disposizione conoscenze ampie, che sanno come utilizzare nell’ambiente scolastico, ma che non riescono a mettere in relazione con il mondo circostante. O almeno appare piuttosto evidente che gli studenti vivano l’insegnamento che la scuola propone come qualcosa che non serve a spiegare la vita: sono in possesso di molte informazioni, forse anche in numero maggiore di quelle di cui potevano disporre le generazioni precedenti, ma non riescono a metterle in relazione con la realtà, perché non credono che esse abbiano alcun rapporto con la loro vita. Il sapere, nel loro caso, spesso non genera passione, né è percepito come uno strumento che serva a decodificare le domande che la realtà impone. Alcuni di loro sono stati negli anni della scuola lettori anche interessati e partecipi, ma a partire dai prossimi mesi, nella maggior parte dei casi, abbandoneranno la pratica della lettura, che vivono come attività immediatamente legata agli impegni scolastici.

Bambini seduti ai banchi i primi giorni di scuola

Di tutto questo e di tanto altro che riguarda l’insegnamento non si è parlato in questi mesi di discussioni sulla riforma, lasciando che gli argomenti principali fossero i piani delle assunzioni, la questione dell’immissione in ruolo dei precari, le polemiche sulle funzioni e sui poteri dei dirigenti scolastici, i cavilli burocratici. E’ mancato il confronto, complice anche una certa timidezza degli intellettuali, su cosa debba essere l’insegnamento e su come sia possibile affrontare quel rinnovamento che appare oggi necessario se si vuole che il sapere duri nel tempo e che dunque l’azione di chi opera nella scuola sappia intercettare i bisogni di conoscenza di generazioni che rischiano di regredire velocemente verso uno stato di perenne distrazione e di rassegnata disattenzione nei confronti dei movimenti del mondo.
Di questi argomenti scrive Paolo Giordano su La Lettura del Corriere della Sera di domenica 28 giugno, sostenendo tra l’altro che forse “converrebbe finalmente spostare lo sguardo – senza pregiudizio, bensì con disponibilità e compassione – sui ragazzi seduti dietro i banchi”. Insomma il mondo della scuola (del quale comunque farebbero parte, e ce ne dimentichiamo spesso, anche studenti e famiglie) è sempre disposto a parlare del “sistema di per sé, con le sue regole e le esigenze di chi vi opera”, mentre sarebbe il caso di spostare l’attenzione “su chi deve usufruirne, su chi necessita di imparare”.
Per attuare questa “piccola rivoluzione”, bisognerebbe cercare di dare una risposta ad una serie di domande, che Giordano così sintetizza: “Chi sono gli adolescenti di oggi? Quali bisogni hanno? Come funziona il loro apprendimento? I programmi ministeriali e i criteri di valutazione sono sintonizzati con la realtà tecnologica, multiculturale, priva di gerarchie standard e sottilmente perversa nella quale vivono?”. Ma queste questioni, ricorda lo scrittore, sia da parte del governo che del fronte antagonista degli insegnanti non sono ritenute urgenti. Forse nemmeno sostanziali, aggiungo.
La verità è che per dare una risposta alle domande di Paolo Giordano è necessario già avere in atto un nuovo modello di insegnamento, che non indulga eccessivamente, come succede, nelle lezioni frontali, e che si realizzi invece attraverso la volontà degli insegnanti di mettere in gioco il proprio sapere e di arrivare a un dialogo vero con chi è di fronte. Un insegnamento che non comporti solo la trasmissione di informazioni e nozioni, ma che sappia incuriosire e stupire, costruendo la conoscenza sulla consapevolezza che il sapere non può essere ripetizione di formule già note, ma ricerca e rivelazione.
Questa pratica dell’insegnamento è già presente nelle nostre scuole, grazie a un numero nemmeno tanto esiguo di insegnanti, ma per ora interessa a pochi, e questi pochi sono quasi esclusivamente studenti, in grado di riconoscere e di seguire chi è in grado di condurre verso territori nuovi e sorprendenti. Una riforma che voglia dare vita a una scuola i cui risultati sulla vita dei singoli durino nel tempo non può che partire dalla riflessione su questi aspetti.

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