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Fosbury, Fo e il salto della poesia

Esiste qualche rapporto tra Alessandro Fo, poeta raffinato e latinista insigne, e il campione di salto in alto Dick Fosbury, olimpionico ai giochi di Città del Messico del 1968, nonché inventore della tecnica del salto dorsale che da lui prende il nome? La risposta è in una lirica di Fo, che apre la raccolta Mancanze, pubblicata nel 2014 nella prestigiosa collezione bianca di Einaudi, della quale peraltro ho già parlato in altra pagina di questo blog ( http://giuseppegrattacaso.it/?p=155 ).

al Figlio

                                          (non lontano da Ostia)

Nella casa in cui vivevo, adesso,
scuotendo per i passeri
la tovaglia in balcone,
l’aria sarà grida di bambini
all’uscita da scuola.

Là in alto era l’amore, all’ombra
di una storia famosa, la cui tempra
già toccava progetti di bambini.

Dal terrazzo si poteva ascendere
volendo, fino a Dio,
se non come Agostino,
gettandosi lo stesso
oltre i dubbi in un salto
verso la luna, verso l’Orsa Maggiore,
magari, come da ragazzo, alla Fosbury.

                                                            Però
nulla è mai davvero come sembra,
ma almeno sette volte più complesso.

La casa che compare nel primo verso è stata teatro di una “famosa” storia d’amore, che ora evidentemente è per il poeta solo un doloroso ricordo. La nostalgia di un passato che non potrà ripresentarsi è tutta nell’accostamento della condizione passata (“vivevo”) all’avverbio “adesso”, che invece implica un presente nel quale la vita di quel luogo continua a presentarsi con le sue attrattive e le sue possibilità, come l’atto, così sabiano, di scuotere la tovaglia per i passeri, ora azioni soltanto inespresse, lontane dalla quotidianità del protagonista. L’appartamento è posto nei piani alti in un palazzo di via dell’Orsa Maggiore, così in alto che il cielo sembra estremamente vicino, tanto che basterebbe un salto per ascendere fino a Dio, emulando S. Agostino, protagonista con sua madre dell’estasi di Ostia, che lo portò nel fervore della contemplazione a sollevarsi, come lui stesso ebbe a scrivere, verso l’Essere supremo, varcando il cielo e quindi oltrepassando le luci del sole, della luna e delle stelle. Via dell’Orsa Maggiore è a Roma in prossimità dell’Eur e dunque non dista molto da Ostia, come si può intendere dall’indicazione posta nell’epigrafe tra parentesi. Del resto, i nomi delle strade nelle vicinanze offrono ulteriore esortazione al salto verso l’alto, “se non come Agostino”, ma almeno in modo da gettarsi alle spalle ogni dubbio: via delle Costellazioni, via degli Astri. 

Insomma è il salto a riportare alla memoria Fosbury, la cui apparizione nella poesia è comunque dovuta ad un richiamo di carattere biografico: Alessandro Fo, “da ragazzo”, è stato una promessa del salto in alto, che praticava appunto seguendo nello stile l’esempio del campione olimpico.

Alessandro Fo

Non c’è dubbio che il salto alla Fosbury è quanto di più innaturale si possa immaginare per superare un ostacolo, sia pure esso solamente l’asticella della specialità dell’atletica. A nessuno verrebbe in mente di saltare di spalle. Eppure l’azione è certamente efficace, al punto che oggi nessuno più tra gli atleti pratica il salto ventrale. Non solo: il salto provato per la prima volta dallo statunitense, pur così artificioso, risulta oltremodo elegante, mirabilmente armonico, sembra addirittura semplice, tanto che viene da pensare che non esista altro modo per praticare un salto che si voglia insieme potente e aggraziato.

Non posso che pensare che queste sono anche le qualità del linguaggio poetico, che è un modo di usare la lingua sicuramente artificioso. Perché utilizzare rime, assonanze, un ritmo particolare, figure retoriche che aprono scenari impensati, per esprimere una sensazione, un sentimento, per raccontare un avvenimento? A chi verrebbe in mente di dire i propri pensieri in un modo così ricercato e innaturale? Forse agli stessi che saltano girandosi di spalle.

Quando il linguaggio poetico è privo di astrusità gratuite e di oscurità ingiustificate, ha la stessa grazia e la stessa efficacia, oltre che la stessa dose di folle genialità, del salto alla Fosbury. E’ estremamente studiato, ma anche piacevole ed equilibrato. Il suo effetto è di grande semplicità, tanto che in qualche caso il poeta è costretto specificare che “però / nulla è mai davvero come sembra, / ma almeno sette volte più complesso”.

Si può parlare di eventi dolorosi con l’area e artificiosa naturalezza di un salto dorsale.

E’ per questo che Fosbury e Fo vanno a braccetto.

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