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Cordelli e le tribù dei letterati

Franco Cordelli su La Lettura del Corriere della Sera (domenica 25 maggio 2014) scrive che “la letteratura italiana degli ultimi vent’anni non è che una palude, in cui il bello e il brutto sono detti e sostenuti secondo un percorso prestabilito: pubblicazione (ma pubblicano tutti), recensione, premio”. Oltre questo schema “non c’è altro”, se non il riconoscimento da parte di una tribù. Appartenere alla tribù, della quale a volte si fa parte senza nemmeno riconoscersi all’interno del gruppo, è utile per un unico fine, “la sopravvivenza editoriale”.
Il critico Franco Cordelli
Franco Cordelli è così addentro alle cose del mondo letterario, e da così tanto tempo e con tale autorevolezza, per cui è opportuno, oltre che facile, dare credito alle sue parole. Insomma sono affermazioni che non vengono da un poeta deluso, che non riesce a collocare la sua opera presso un editore di prestigio, o da un bravo romanziere a cui viene negato perfino un premio minore, ma da uno scrittore e critico affermato, che frequenta la società letteraria con intelligenza e con occhio scaltro.
Cordelli conclude il suo articolo lasciandosi andare al gioco, del quale avremmo anche fatto a meno, ma che in verità ha una sua ragione d’essere, di fornire una mappa delle varie tribù, attribuendo a ognuna un certo numero di adepti (consapevoli o meno) e un nome che possa classificarla. Gli scrittori così irreggimentati sono settanta e sono scelti per il fatto di essere percepiti come “culturalmente significativi”. Tutti gli altri, i non classificati cioè, non ci sono perché “appaiono culturalmente irrilevanti” o perché “già acquisiti in una sfera di vera o presunta eccellenza”.
Al di là del tentativo, nemmeno tanto celato, di provocare al dibattito (ma chi reagirà nella palude, i citati o gli assenti?), le parole di Cordelli fanno riflettere su alcune questioni. Innanzitutto non si può che constatare come la società letteraria non esista più: chi scrive non si sente più parte di un mondo di persone che si scambiano opinioni, che cercano negli scritti degli altri qualcosa che li appassioni, che partecipano a una ricerca comune.
E’ chiaro poi che una parte di coloro che scrivono è di fatto invisibile. E questo non dipende dal fatto che uno scrittore venga considerato o meno autore di opere di qualità, ma dalla sua contiguità con una o l’altra tribù. Se si è percepiti come membri del gruppo la visibilità è garantita.
La rappresentazione delle varie correnti (dal Corriere della Sera)
Sono solo cinque o sei i poeti presenti tra i settanta scrittori all’interno delle tribù indicate da Cordelli. Segno che la poesia rende invisibili, ma anche che la maggior parte dei poeti “ha rinunciato a dire qualcosa in più, oltre ai propri versi”. Resta da capire se la rinuncia nasca dall’impossibilità di far sentire la propria voce o dalla presunzione, comunque presente in molti, che la parola poetica sia permeata di sacralità e dunque preservi da qualsiasi altro intervento comunicativo.
L’impressione è che anche i poeti, nella loro invisibilità, da fantasmi insomma, si materializzino all’interno delle tribù (in particolare in quella definita da Cordelli dei Novisti e abitata da Cortellessa) o che ne abbiano formate di proprie, naturalmente del tutto “irrilevanti”, ma alla cui rilevanza loro credono tantissimo.
Infine se nella letteratura impaludata di questi anni è impossibile distinguere il bello dal brutto, questo è il risultato di una critica attenta quasi esclusivamente ai riscontri editoriali e alla visibilità, più o meno culturale, propria e degli amici della stessa tribù.
 
 
 

 

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